Manzoni/ L'epitaffio per la figlia Matilde privata delle virtù del sesso

 Siena,  2 settembre 2024

   Ma cosa intendeva Alessandro Manzoni quando ha scritto sulla tomba della figlia Matilde che "lasciava desiderio di sè per una vita bella di tutte le virtù che sublimano il sesso". Ho riletto i versi dell'epigrafe almeno tre volte, confusa e un po' scioccata. Sublimazione del sesso? Ma che voleva dire? Che la figlia Matilde, morta di tisi "nell'ultimo anno del quinto lustro" (quindi a 25 anni), nubile e ancora vergine, anelava a una vita da cortigiana?  Penso che Manzoni intendeva il sesso femminile, ovviamente, però il verso non è di quelli migliori usciti dall'illustre autore dei Promessi Sposi.  

La tomba di Matilde Manzoni nel convento della basilica di Santa Maria dei Servi a Siena 

   Ho scoperto la tomba di Matilde Manzoni, ultima dei nove figli del grande scrittore lombardo, totalmente per caso a Siena, nel chiostro della basilica di Santa Maria dei Servi, che sorge appunto in piazza Manzoni.  I frati mi hanno dato ospitalità per una notte nella foresteria dopo aver presentato le "credenziali" di pellegrina sulla via Francigena. Nel fantastico convento medioevale, mentre aspettavo di essere accompagnata nel dormitorio, mi sono imbattuta in questa lapide con questa bizzarra iscrizione attribuita a Alessandro Manzoni. 

   La tomba mi ha intrigato e ho fatto un po' di ricerca. La povera Matilde fu praticamente abbandonata dal padre, lo si conosce dai suoi diari (pubblicati nel 1992 da Adelphi con il titolo Journal, a cura di Cesare Garboli). Orfana di madre ad appena tre anni, chiusa in un convento di clausura fino a 16 anni e poi portata da una sorella in Toscana, la povera Matilde è morta il 30 marzo 1856 senza vedere il padre che manco rispondeva alle sue lettere. Era malata da ben quattro anni e Manzoni lo sapeva. L'ha fatta tumulare nel convento insieme a una sua nipotina morta prematuramente. 

  Nel febbraio 1855, un anno prima di morire tra le braccia della sorella Vittoria,  scriveva nel suo diario:  "Ho avuto gran momenti di malinconia, te lo confesso, m’ero proprio scoraggiata, […] Pensavo tante volte: quando starò peggio, scriverò a papà che per carità venga, non posso proprio morire senza rivederlo e senza che mi conforti colle sue parole e la sua benedizione!...Vero, caro papà che se dovessi star male tu verresti?» (febbraio 1855).