In questi giorni nell’arcipelago delle Canarie spira il ‘calima’, il vento dall’Est che porta la sabbia dall’Africa e riduce la visibilità. È il vento che fa sbarcare sulle spiagge delle famose isole spagnole decine di migranti in fuga dall’Africa subsahariana. La cosiddetta ‘rotta Canaria’ è una delle più pericolose perché significa attraversare centinaia di chilometri di oceano Atlantico dal Marocco o dalla Mauritania in un punto con forti corrente e vento. Viaggi della speranza che si trasformano in tragedie del mare spesso invisibili. Secondo statistiche di una ong circa 6 migranti al giorno in media muoiono nel viaggio della speranza dalle coste nord africane alla Spagna.
Interno di una 'patera' nel porto di Arguineguin (Gran Canaria) |
Ieri mi è capitato di vedere da vicino una delle imbarcazioni con cui i migranti arrivano alle Canarie. Era vuota, forse perché abbandonata dopo lo sbarco oppure, ma non voglio pensarlo, perché i suoi occupanti sono finiti in mare. È successo in piena notte a circa 10 miglia nautiche (18 km circa) dalla costa meridionale di Gran Canaria. Con la mia barca a vela Maneki avevo appena attraversato lo stretto tra Tenerife e Gran Canaria e dato che il vento era cessato (succede sempre cosi quando si arriva davanti alla costa meridionale di Gran Canaria) ero praticamente alla deriva. Alla radio VHF (canale 16) sento un messaggio della radio di Las Palmas rivolto a un ‘sailing vessel’ in una certa posizione. Controllo il GPS e mi accorgo che sono proprio io. Rispondo immediatamente, con una certa apprensione perché non capita tutti i giorni, e mi chiedono di identificarmi e poi di stare in stand by sul canale 74. Dopo pochi secondi sento un operatore che mi chiama “Maneki, Maneki, here Las Palmas, Las Palmas. Do you read me? Over”. Rispondo e la voce maschile in perfetto inglese mi chiede di “identificare un target che secondo il radar si trova a 1.5 miglia nautiche a Ovest della mia posizione”. Guardo fuori, ma la visibilità è molto bassa, a causa del calima, praticamente nebbia. Non vedo nulla, dico. Allora mi chiede se posso cooperare con loro e recarmi sul “target”. Mi chiede di annotare le coordinate e di far sapere appena vedo qualcosa.
Ecco che alle 4 di notte, quando già sognavo di ancorare in qualche baietta tranquilla e levarmi gli abiti inzuppati per la traversata da Tenerife, mi trasformo in soccorritrice. Con una certa apprensione perché non è ben chiaro cosa sia il “target”. Inoltre la vedo un po’ difficile da sola timonare, controllare il gps e soprattutto scrutare le acque scure alla cerca di qualcosa di non ben definito. Il mare è calmo, ma ripeto è coperto da una densa coltre di vapore. Mi avvicino di mezzo miglio procedendo un po’ a zig zag. “Las Palmas, Las Palmas, here Maneki, Maneki, I do not see anything, what do you think I should see?” domando con il terrore che mi chiedano di avvistare un ufo o chissà cosa. Las Palmas mi dice che dal radar potrebbe essere una barca di legno usata dai migranti, ma serve una conferma visiva e poi bisogna sapere se c’è qualcuno. Insiste nonostante le mie titubanze. “It will be very helpfull if you go to check”. Okkey…replico e vado incontro al mio destino, con rassegnazione.
Ci metto un bel po’ a raggiungere la posizione, quando ci sono vicina, fermo la barca e vado a prua a scrutare, niente…Las Palmas mi avverte che dal loro radar risulta che sono vicina, 200 metri in direzione 330 gradi. Con le gambe che mi tremano guardo la bussola e ingrano la marcia. “Look on your starboard, on your right” dice la voce che mi segue da un schermo radar che è estremamente preciso, perché dopo pochi istanti vedo una massa nera. È un barcone di legno di 4-5 metri. Una ‘patera’, come ce ne sono tante ammassate nel porto di Arguineguin, che fa da hub per gli arrivi dei clandestini. Nella sola prima settimana di febbraio sono state 660 le persone arrivate vive a bordo di 13 “patera”. Punto la torcia, sembra vuota, da una parte è attaccata una lunga cima, mi sembra, per questo non posso avvicinarmi troppo, ho paura che si impigli nell’elica.
Ci giro intorno due o tre volte poi chiamo Las Palmas e confermo, non ci sono persone a bordo. È quello che volevano sapere, poco dopo sul canale 16 lanceranno un ‘securite’ securite’’ un avvertimento per i naviganti dove si dice che una barca di legno di 4 metri è alla deriva in quel tratto di mare. Un messaggio che purtroppo sente molto spesso quando navigo. Mi vengono i brividi a pensare che navigando poco prima avrei potuto urtare la patera e probabilmente affondare. Ma non è solo questo pensiero che mi fa rabbrividire. I migranti dove sono? Nelle fosse comuni in fondo al mare? Spero siano in salvo da qualche parte o che siano stati soccorsi dalla Guardia Costiera spagnola come è capitato in questi giorni, mi sembra ancora di avvertire la loro presenza, la loro disperazione in quel mare di pece.
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