Un viaggio nell’Italia post Covid, nella cultura che riapre e nelle strade che tornano a riempirsi di turisti, un viaggio ‘lento’ in corriera tra Roma e Milano passando per Bologna, attraverso storie millenarie e modernità tecnologica, giocando a fare i “turisti per caso” con nello zaino “Viaggio in Italia” di Guido Piovene (1957)
Roma, 10 aprile 2022. Tour nel ghetto ebraico
Il primo treno da Fiumicino per Roma è quello per Orte alle 05.57. Nella città eterna dormono ancora tutti. Scendo a alla stazione di Tuscolana, e mi ritrovo a passare sotto l’arcata di un acquedotto romano, uno dei tanti ancora in piedi e forse pure funzionante. Svetta arrogante tra i palazzi dell’epoca fascista, come per dire “sono ancora qui" nonostante le guerre, i cambi di regime. Nonostante tutto. “Eterno” appunto. Il mio ostello è in via Lodi, non distante da Piazza Re di Roma e dalla via Appia, quando ci arrivo ci trovo un bangladese mezzo addormentato che mi apre la porta, mi fa lasciare i bagagli e poi mi dice di tornare dopo 8 ore per il check-in.
Perfetto, ho otto ore di tempo per giocare a fare la turista. Potrei fare un giro nella Roma borgatara, vicino a me c’è il Pigneto, dove ci hanno girato Roma Città Aperta e un sacco di altri film dell’epoca d’oro di Cinecittà, ma ho voglia di vedere invece i classici simboli di Roma. Cerco un tour a piedi su Guruwalk.com. piattaforma per ciceroni freelance, ne trovo uno al ghetto ebraico di Trastevere, ottimo perché c’è il fiume (evidentemente da velista non posso staccarmi dall'acqua) e anche una mostra di uno dei simboli femminili del reportage giornalistico, Margaret Bourke-White. Non so nulla del ghetto, anche se so molto sull’ebraismo avendo vissuto (e amato) Gerusalemme.
L’appuntamento è a Trastevere, in piazza Gioacchino Giuseppe Belli, vicino all’isola Tiberina. Ci arrivo con una lunga camminata a piedi in cui tocco San Giovanni in Laterano (Scala Santa), il Colosseo e il bistrattato Altare della Patria, che in realtà è il monumento al primo re d’Italia Vittorio Emanuele II, nulla a che vedere con il fascismo, almeno in origine. La guida è Maria Grazia, esperta di ebraismo, bravissima a “far parlare” ogni sasso con aneddoti e curiosità di ieri e di oggi. Non ero mai stata al ghetto di Roma e non ne conoscevo la storia. Devo ammettere che ho imparato più cose in tre ore che leggendo un intero libro. Ho scoperto per esempio che l’area dove sorgeva il ‘ghetto’, abolito soltanto dopo l’arrivo dei Savoia a Roma e la fine del Papato che teneva gli ebrei in una umiliante segregazione, era popolata dai giudei ancora prima del Cristianesimo. I Romani avevano infatti deportato centinaia di prigionieri ebrei dopo la caduta del tempio di Gerusalemme (70 DC), molti sono stati usati per costruire i monumenti imperiali, tra cui il Colosseo. Questi prigionieri stavano fuori dalla città, oltre il fiume, quindi la zona del ghetto è forse una delle più’ antiche di Roma. Camminando nelle strette vie del ghetto, intorno al portico di Ottavia, dove c’era il mercato del pesce, si sente sulla pelle questa storia millenaria, di vite intere passate attraverso gioie e sofferenze, quante cose sono successe sulla terra dove ora appoggio i piedi. Avverto la stessa energia delle più antiche città ancora abitate, come Benares o Gerico, sul Mar Morto, Atene o la stessa Gerusalemme.
A differenza di altri posti, la comunità ebraica romana vive ancora nel ghetto. Mentre siedo a un ristorante kosher escono i bambini dalla scuola ebraica, in via del Portico di Ottavia, un anziano sta entrando in un portone con il pane fresco, davanti all’ingresso ci sono delle “pietre di inciampo” con i nomi dei suoi parenti. Ci racconta del rastrellamento del 16 ottobre 1943, era bambino ma se lo ricorda. In questi giorni al getto c’è la sagra del carciofo, uno dei protagonisti della cucina laziale, che ha molte influenza ebraiche (carciofi alla giudia).
Il tour finisce sul ponte pedonale più vecchio, il ponte Fabricio, che collega l’isola Tiberina (isola di Eusculapio, dio della medicina, non a caso oggi sorge l’ospedale Fatebenefratelli). Fabricio era una specie di direttore ante litteram dei cantonieri, ma il ponte (ancora l’originale del 62 AC!!!) è conosciuto anche come ‘ponte dei Quattro Capi’ per via di un blocco di marmo sul parapetto che raffigura quattro erme di Giano. Secondo Maria Grazia sono quelle di quattro litigiosi e violenti architetti decapitati dal papa Sisto V. Ma il dio Giano bifronte, l’antico dio del Lazio e anche del Tevere, che simboleggia il passaggio fisico o temporale dal passato al futuro (il primo mese dell’anno è dedicato a lui), svolge anche il ruolo di guardiano di ponti e cancelli.
Margaret Bourke-White, pioniera del fotogiornalismo femminile
“There is nothing else
like the exhilaration of a new story boiling up. To me this was food and drink”
(“Portrait of Myself”, 1963, Margaret Bourke-White)
La mostra su Margaret Bourke-White è al museo di Roma in Trastevere. Mi fa gioire entrare un museo finalmente dopo tanto tempo. Nata nel 1904 a New York, figlia d’arte, la Bourke-White è l’esempio della determinazione e del coraggio, oltre che della passione per il fotoreportage. L’esibizione ripercorre tutta la sua lunga carriera fino alla morte per Parkinson nel 1971.
Il manifesto della mostra |
Sono esposte circa cento
immagini: dalle foto di design agli albori della Rivoluzione industriale fino
ai reportage in Unione Sovietica (1933) dove scatta il celebre ritratto di
Stalin e in India (1947), dove fotografa il Mahatma per la rivista Life pochi
giorni prima del suo assassinio a New Delhi. Le foto di Gandhi sono diventate
delle icone, in particolare quella dell’arcolaio. Prima di farsi scattare la
foto il Mahatma le chiese di imparare a filare il cotone con il “charka”, che
poi simboleggiato nella bandiera nazionale dopo l’Indipendenza. C'e' anche
un’altra celebre foto di lui in marcia con le sue nipoti, le “stampelle” e – mi
fa pensare - anche oggetto di un presunto legame torbido a causa dei suoi
‘esperimenti sulla sessualità.
La Bourke-White è famosa anche per le sue foto “dall’alto”, sorprendenti scatti realizzati dalle sommità degli edifici e anche da un aereo. Non c’erano ancora i droni a inflazionare come oggigiorno questa "angolatura" della realtà che vedono solo gli esseri dotati di ali. Ma non c’è paragone, le sue foto dall’alto sono scattate da un umano, non da una macchina fotografica pilotata a chilometri distanza. Riflessione: bisognerebbe forse chiamare in altro modo la fotografia aerea con droni, distinguendola dalla riproduzione di cosa vede l’occhio umano?
La giornata tipo di un cittadino della Roma
imperiale
Il tour di Guruwalk mi è piaciuto così tanto che ne ho prenotato un altro per l'indomani. È un superclassico ed è tra i più gettonati: ‘Un giorno nella Roma Imperiale’, in pratica una passeggiata lungo i Fori Imperiali fino al Colosseo, immaginando di vedere quello che vedevano gli occhi di Nerone o Cesare Augusto. Anche questa volta la ‘cicerone’ era preparatissima. Si è presentata all’appuntamento, in piazza del Campidoglio, sotto il Marco Aurelio, con una guida di Roma, quella che si compra nei negozi di souvenir, per aiutarci a capire con mappe e disegni. Abbiamo iniziato la ‘giornata’ con una colazione nelle ville patrizie, oggi ridotte a poche rovine a ridosso del Campidoglio, praticamente impossibili a notarsi, per poi muoverci 'a fare la spesa' vicino al teatro Marcello, al tempio di Giano, nell’area che era del Foro olitorio (mercato frutta e verdura) e Foro Boario. Qui siamo ai tempi di Numa Pompilio, secondo re di Roma. Non mi ero mai accorta di queste rovine che sono state inglobate in chiese e strade. Bisogna fare un po’ di sforzo di immaginazione per capire che qui c’erano tre templi inseriti oggi nella Basilica di San Nicola in Carcere.
Ma la sorpresa più grossa per me è stato scoprire che sulle
arcate del teatro Marcello (inaugurato nel 13 AC, quindi più vecchio del
Colosseo) sono stati ricavati appartamenti privati! Nel Medioevo vi era
inglobato un palazzo di una famiglia aristocratica, gli Orsini, poi negli anni
Trenta si aggiunsero altre abitazioni, e negli anni ‘50 passò alla famiglia
nobiliare degli Origo. La curiosità mi ha spinto ad andare a fondo, da una
ricerca sul web ho scoperto che nel 2012 palazzo Orsini era in vendita a 32
milioni di euro (mille mq). Un appartamento oggi appartiene all’Ordine di Malta
(grazie a un lascito della famiglia Litta Modigliani) che ne ha fatto la sede
della sua “ambasciata” presso il Vaticano (l’ordine di Malta è equiparato a uno
Stato sovrano). L’ala che era della famiglia Litta Modigliani è stato
restaurato da una fondazione (della famiglia aristocratica Sacchetti) e ha
appena aperto dopo la pandemia per visite su appuntamento. Mi chiedo che
effetto fa abitare in uno stabile fatto costruire da Giulio Cesare.
Al Colosseo, dove termina la nostra 'giornata' nella Roma imperiale (alla sera c'e' lo 'spettacolo' dei gladiatori), ci sono due novità, la prima è un distributore di acqua (liscia e gassata) gratuita. Finalmente una buona idea per incentivare l’uso di borracce e ridurre il consumo di bottiglie di plastica. La seconda è che sono scomparsi i centurioni con le loro battute al limite dell’oltraggio. “Disturbavano troppo – spiega la nostra guida – ora stanno intorno a Castel Sant'Angelo”. Secondo me invece a cacciarli sono stati i giganteschi lavori per la nuova linea della metro che occupano il lato verso i Fori. Le donazioni per le guide free lance di Guruwalk sono libere, ma c’è un minimo “garantito” di 10 euro per persona, per compensare il loro servizio e le tre ore di tempo.
Lascio la città Eterna e i suoi problemi di traffico e spazzatura, leggendo questa considerazione di Guido Piovene nel suo “Viaggio In Italia” a proposito di Roma capitale d’Italia, “Roma, fu detto, è troppo grande ed universale, troppo grave di storia, per essere la capitale di una nazione singola di grandezza media. Roma capitale sara’ per le spalle degli italiani un fardello troppo pesante. Li fisserà a un passato scomparso, ostacolando lo sviluppo della nazione nuova. Rinfocolerà in essi l’illusione retorica di essere gli eredi di una Roma antica; porterà sogni di potenza e ambizioni senza misura”
Bologna, 12 aprile 2022. Gli 80 anni di Oliviero Toscani
La mostra su Oliviero Toscani e i suoi 80 anni
da “situazionista” (non ama essere chiamato “creativo”) è a palazzo Albergati.
Si ripercorre tutta la sua carriera, dai suoi inizi negli Stati Uniti, al famoso
bacio tra il prete e la suora del 1992, alla campagna contro la pena di morte,
il suo lungo e controverso sodalizio con i Benetton, la rivista Colors
(1991-2014), fino all’ultimo progetto, “Razza Umana”, in cui si è messo in
testa di fotografare addirittura l’umanità tutta intera. Ho scoperto una cosa
che non sapevo, che il padre, Fedele Toscani (1909-1983) fu un importante
fotoreporter del Corriere della Sera, autore di molto scoop, tra cui i filmati
realizzati in piazzale Loreto il 29 aprile 1954 dove furono “esibiti” i
cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e dei gerarchi fascisti.
Il ritratto del Che Guevara di Albert Korda
Altrettanto interessante è l’altra mostra che si trova sempre a Palazzo Albergati dedicata ai maestri della fotografia nel Novecento. Si tratta di una fantastica collezione, l’archivio spagnolo Julian Castilla, che comprende alcuni dei capolavori di Robert Capa, Alfred Stieglizt, Man Ray, la street photography di Vivian Maier, Henri Cartier Bresson, Andre Kertesz e altri ‘grandi’ del bianco nero. Sono rimasta a bocca a aperta, alcuni degli scatti esposti sono entrati nell’immaginario collettivo di una generazione, sono le foto dei poster che una volta si appendevano in camera da letto.
La foto simbolo della mostra è Le violon d’Ingres di Man Ray, che apre la sezione degli avanguardisti dell’inizio Novecento. Non mi par vero di aver visto l’originale dell’arcifamoso ritratto del Che Guevara scattato dal cubano Albert Korda. E poi il simbolo di tutti i reportage di guerra, Death of a Militiamen di Robert Capa (nome fittizio scelto dalla coppia dell’ungherese Endre Erno Friedmann e la tedesca Gerda Taro) scattato durante la guerra civile spagnola, dove la 26enne Taro fu uccisa da un carrarmato). Ho visto il celebre bacio di Doisneau (Baiser de l’Hotel de Ville) (1950), che non è stato casuale ma posato su richiesta del fotografo. E poi uno dei primi servizi di moda di Horst P.Horst, “Mainbocher Corset” (1939), uno scatto che sembra una scultura del Canova. Molti dei fotografi lavoravano per l’agenzia Magnum, facevano quindi parte di una ristretta élite che ha praticamente ‘inventato’ il fotogiornalismo e la filosofia dell'"attimo decisivo”, quell’istante unico che fa sì che la foto si esprima da sola. L’americano Elliot Erwitt diceva che “La cosa migliore del fotografare è di non dover spiegare le cose con le parole”. Tra le sue opere, spesso ironiche, c’è la foto dei visitatori maschi del Museo del Prado, davanti alla Maya Desnuda e dell’unica donna davanti alla Maya Vestida.
Prosciutto e vino alla spina
La
sosta a Bologna è per me una tappa gastronomica, come non può essere
altrimenti. Ho scoperto la Prosciutteria, che è una catena di locali di un
gestore toscano che ha iniziato vendendo prodotti tipici della sua azienda agricola
su dei mega ‘taglieri’ e con vino alla spina, una formula che ha avuto un
successo enorme con la moda degli apericena. Arredo tutto riciclato, posate di
legno, fontana con acqua da bere e ovviamente prodotti tipici, prezzi
contenuti. Per entrare bisogna fare la coda, ma merita, è uno dei posti più’
gettonati.
Milano, 14 aprile 2022. Da Bologna con la "corriera"
Altro
Itabus, la 'corriera' concorrente rosso del verde Flixbus che sta diventando troppo caro, Approfitto delle tre ore di comoda
autostrada e di un wifi stabile per seguire un corso di formazione online
organizzato dall’ordine dei giornalisti dell’Umbria sul tema “Il clima che
cambia”. Uno dei relatori è il giornalista Pierluigi Gioia, che collabora con
la Rai e che fa divulgazione ambientale. Ripercorre la storia dell’umanità,
guerre, invasioni e carestie, mettendola in connessione con i periodi di
glaciazione. Interessante scoprire che la prosperità dell’impero romano
coincide con un ‘surriscaldamento globale’ che rendeva possibile raccolti eccezionali,
mentre la calata dei barbari dalle steppe del Nord è stata causata dall’arrivo
di una era di glaciazione. Sembra che il pianeta a volte abbia la febbre a
volte sia più freddoloso, ma stavolta – pare – siamo noi umani a cambiare
questo ciclo naturale.
L'ostello e nell'ex manicomio Paolo Pini
A Milano è tutto pieno, è la settimana santa, di solito vado all’Ostello Bello vicino alla stazione Centrale ma è tutto esaurito. Quindi scelgo a caso un’altra sistemazione che si rivelerà una vera sorpresa. È una struttura che si trova all’interno dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, nord di Milano, vicino a Niguarda (fermata della metro Affori). costruito durante l’epoca fascista e che agli inizi anni Sessanta ospitava circa 1200 pazienti. Il complesso, inserito in un parco, è stato riconvertito dopo la chiusura del manicomio nel 1999 e ospita diversi progetti di inclusione sociale, un teatro, orti, una grande chiesa che è usata dai copti, un ristorante e appunto un ostello gestito dalla cooperativa Olinda. Un bell’esempio di rigenerazione urbana.
Foto da olinda.org |
Altra 'ciceronata' a Milano
Essendo ormai “aficionada” a Walkguru, ho
cercato un free tour a piedi anche a Milano. Ne ho trovato uno di due ore e
mezza sui principali monumenti, un ‘classico’ disponibile solo in inglese per
turisti stranieri. Chi mai degli italiani infatti verrebbe a ‘visitare’ Milano?
A Milano si viene per lavorare, punto a capo. Il tour, tenuto da una ragazza
madrelingua inglese (i genitori si sono trasferiti in Italia anni fa), che
sembra una animatrice di un villaggio. Abituata ad avere gruppi numerosi (e non
troppo interessati a date e nozioni storiche sugli Sforza) attinge ad aneddoti
e leggende urbane per tenere alta l’attenzione. Davanti al Duomo si mette
perfino a cantare Mia Bela Madunina e poi a tradurla in inglese. Lungo il
fossato del castello Sforzesco racconta del fantasma di Bianca Maria e di una
‘dama nera’ che nelle notti invernali di nebbia si aggira vicino al laghetto di
nel parco Sempione. Chi la incontra, viene ammaliato dal suo profumo di
violetta, e se la segue si ritrova in una villa misteriosa dove si tiene un
ballo sabbatico…
La colonna del Diavolo e Sant'Ambrogio
Un'altra di queste curiosità raccontate da Chiara, che fa l’insegnante di inglese è quella sulla colonna del Diavolo, accanto alla basilica di Sant 'Ambrogio, dove ci da' appuntamento. La colonna è sul marciapiede, è quasi nascosto da un bar della ‘movida’, è dell’epoca imperiale romana, forse uno dei resti più antichi di Milano. Ha due fori identici a circa un metro da terra. Leggenda vuole che quando il diavolo comparve davanti ad Ambrogio per costrinerlo a rinunciare al vescovado, fu respinto con un calcio così forte che andò a sbattere con le corna contro la colonna. E poi scappò via entrando dentro quei fori che - si dice - siano connessi direttamente con gli Inferi e che a volte esalino zolfo. Una altra strampaleria sono le misteriose scacchiere raffigurate della basilica di Sant Ambrogio, una delle quali è impressa sulla facciata.
Leggende a parte. ho scoperto molte cose dei 1200 anni di storia meneghina e dell’iconografia, in particolare il biscione, la “bissa” che mangia un bambino. Questo simbolo paleocristiano raffigurerebbe, secondo alcuni, Giona ingoiato da un serpente marino. E' stato scelto dai Visconti e poi dagli Sforza come stemma per rappresentare la loro potenza. Si può vedere un po’ ovunque sui monumenti di Milano, ce n’è uno in ferro sul palazzo della Regione, ed è stato anche adottato da famosi brand come l’Alfa Romeo o Mediaset. Per Dante è “la vipera che il milanese accampa” (Divina Commedia, purgatorio, canto VIII).
Nella
basilica di Sant'Ambrogio c’è un serpente nero di bronzo, portato a Milano
nell’anno 1000 da Costantinopoli. Simboleggia il serpente, chiamato Nehustan,
forgiato da Mosè durante il viaggio nel deserto del suo popolo. La credenza è
che abbia proprietà taumaturgiche e ancora oggi si invoca il suo aiuto
soprattutto per le malattie intestinali.
Dopo una breve sosta allo splendido portico del Bramante e in piazza Affari (il provocatorio indice puntato in alto di Maurizio Cattelan, L.O.V.E. 2010), il giro termina davanti al Duomo. Per terminare il progetto del Duomo ci sono voluti 600 anni, altro che Sagrada Familia. Tra le sue oltre 3 mila sculture c’è quella che ha ispirato la Statua della Libertà di New York. È La legge Nuova (1810) sopra il portone di ingresso. C’è sacro e c’è profano, ci sono pugili e tennisti e anche un Benito Mussolini deturpato.
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