Un viaggio nell'Italia post Covid, tra i vaccinati che ritrovano la libertà e la speranza che potrebbe essere finita, nell'Italia che tornando alla cosiddetta 'normalità', con il traffico, i miasmi della spazzatura in strada, le code agli uffici postali e il tutto pieno ai ristoranti. A distanza di quasi un anno sono tornata in patria e pensavo di trovare un'altra Italia. Invece è la stessa, anzi peggio, perché la crisi sanitaria ha messo in luce la realtà che prima non si voleva vedere. Che il Paese sta invecchiando velocemente, è sempre più fragile, chiuso sul 'particulare', intollerante e aggressivo nei confronti degli 'altri' e miope di fronte agli evidenti segnali di insostenibilità economica e ambientale. E non mi sembra per nulla pronto a beneficiare della pioggia i miliardi che presto arriveranno da Bruxelles.
Milano Malpensa, 29 maggio
Tamponata e in possesso della EU Digital Passenger Locator Form (dPLF),
obbligatorio da pochi giorni per chi viaggia in Europa, sbarco a Malpensa dopo
le 23, ovvero dopo che scatta l'orario di coprifuoco anti Covid. Ma da quanto
ho letto i dati sulla pandemia sono in netto miglioramento giorno dopo giorno,
quindi confido nella tolleranza delle autorità. Di fatti nessuno controlla il tampone
negativo, non vedo personale sanitario e neppure doganieri. Mia figlia,
neopatentata, mi è venuta a prendere con l'auto della nonna. Fa caldo, quello
estivo della pianura padana, scendo in T/shirt, ma lei ha un cappottino
leggero, mi dice che nel pomeriggio pioveva e faceva freddo. Lungo il tragitto per Vigevano, scavallando tra Piemonte e Lombardia, non c’è
nessuno.
Piazza di Vigevano
Esco per colazione con la stessa t-shirt, ma mi accorgo che tutti sono ancora con abbigliamento invernale nonostante il sole caldissimo. Sembra che l'estate sia arrivata con me e nessuno ha ancora cambiato il guardaroba. La piazza di Vigevano, che si dice disegnata nientepopodimeno da Leonardo Da Vinci, è sempre uno spettacolo. Da stare a bocca aperta per la bellezza. Peccato che Vigevano, paesone nell'hinterland di Milano, che ha fatto la sua fortuna sulle scarpe, non la meriti per il livello un po' scarso di cultura esistente. Lo scrittore Lucio Mastronardi, l'unico prodotto culturale di Vigevano, aveva tracciato una descrizione impietosa dei suoi concittadini. Da quando ho letto le miserie del Calzolaio di Vigevano non riesco a guardare quella bella piazza con occhi neutrali.
E' sabato e c’è uno struscio incredibile per le vie del centro, c’è chi arriva con una carrozza trainata da cavalli in piazza, alcuni sfilano con coppie di cani pregati, appena usciti dalla toelettatura, i bar traboccano di spritz e ogni ben di Dio. Hanno i anche tirato fuori dai garage le vespe e moto d'epoca. Insomma se non fosse per le mascherine, sembra un weekend pre Covid, forse anche con più ostentazione dopo la forzata clausura. Di sicuro non è un atmosfera da crisi sanitaria, economica e ambientale. La Lombardia è ancora arancione. Per contrasto, al 'Museo internazionale della Calzatura Pietro Bertolino', nelle belle sale del castello Sforzesco, ci sono solo pochi visitatori. Per fortuna ha riaperto, ma la visita è deludente. La collezione ha pezzi rarissimi, come calzature dell' epoca rinascimentale e pure uno stivale del Duce, ma manca un approfondimento sull'artigianato, forse qualche video ci sarebbe stato bene, visto che Vigevano hanno inventato il tacco a spillo. Insomma va bene glorificare gli stilisti, ma due parole su chi le faceva le scarpe?
Parco del Ticino
Siccome non posso stare lontano dall'acqua, mia figlia mi porta in moto al
parco del Ticino, a pochi chilometri da Vigevano e dalla Sforzesca. C’è una
insenatura, che si chiama Lanca Ayala e che è assolutamente deliziosa. Una specie di penisola che racchiude una
darsena, dove sono ormeggiati piccoli motoscafi. Una minimarina fluviale, una
vera sorpresa per me che arrivo da un'epoca in cui i fiumi erano visti come
ricettacolo di spazzatura e pullulanti di stupratori seriali. L'insenatura e'
circondata da boschi, che in questa stagione sono rigogliossissimi, e da
spiagge di sabbia e ghiaia. Nella lanca, la corrente è debole e l'acqua limpida
e invitante per il bagno. Volendo ci si può farsi trasportare dal fiume senza
pericolo oppure nuotare in piscine naturali. Mi chiedo quanti sanno di avere
queste meraviglie balneari a pochi passi da casa.
Da Vigevano a Chivasso, dalle scarpe all’auto
Il tragitto da Vigevano a Chivasso, circa 100 chilometri, passa attraverso
le risaie della Lomellina e vercellese, la ex centrale nucleare di Trino e i
campi di mais del Canavese. L'ho percorso in moto, così che gli effluvi dei
pesticidi e fertilizzanti arrivassero direttamente alle mie narici. Non è una novità
che la pianura padana sia forse una delle regioni in Europa più violentate
dall'agricoltura intensiva e dall'industria. Qualcosa dobbiamo pur mangiare….E
mi è piaciuta la panissa nella Locanda dell'Orso di Palazzolo, uno dei
ristoranti piemontesi più popolari. Però quando facevo questa strada trent'anni
fa per andare a trovare l'allora mio fidanzato, mi ricordo qualche bosco in più.
Ora non c’è manco un albero che fa ombra.
Chivasso e l'app delle Poste Italiane
Ogni volta che torno a Chivasso, hinterland torinese, c’è una rotonda nuova. La città che per anni ha ospitato lo stabilimento della defunta Lancia (storico marchio dell'altrettanta defunta Fiat) sembra in preda a un delirio di onnipotenza. Alcuni anni fa hanno costruito vicino all'abitazione dei miei genitori un 'parco commerciale', nell'area della sopradefunta Lancia. Uno shopping mall con tanto di McDonalds. E lo hanno circondato di strade e di rotonde manco appettassero orde di clienti da tutto il Canavese. Il sindaco lo ha celebrato come una vittoria per l'occupazione, migliaia di posti di lavoro. Ma si è rivelato un flop. Quando ci sono andata era deserto e no era per il Covid. Il mega supermercato Bennet traboccava di ogni prodotto fresco e cucinato, mi sono chiesta che fine fanno alla fine della giornata. Mi hanno detto che al weekend c’è la ressa, forse rivendono il fritto misto scaldato?
Per una fortunosa situazione (incasso di un vecchio buono fruttifero) ho fatto esperienza con l'ufficio postale. Le restrizioni agli ingressi hanno reso ancora più lunghe le code che già prima della pandemia erano croniche. Adesso però è diverso perché a fare le code sono solo gli anziani, che non scaricano l'app dove si può fissare l'appuntamento con il codice Qr. La digitalizzazione avanza veloce, forse è l'unica cosa che si muove rapidamente nel paese, c’è pure un ministero con l'ex manager di Vodafone, mica il primo quaquaraquà, tanto per citare Sciascia. Così va il mondo post pandemia, quindi non solo si suppone che tutti abbiano uno smartphone (possibilmente nuovo perché' se no con il fischio scarichi tutte queste app) ma anche un minimo di pratica. Risultato? Mentre fino a poco tempo fa gli anziani e disabili avevano la precedenza per accedere agli uffici postali, ora se ne stanno ore in coda e per i più in piedi sul marciapiede con pioggia, caldo o freddo. Dentro non si può stare, perché si crea assembramento e gli impiegati si lamentano. Quindi, per ironia della sorte,i giovani passano davanti a tutti e vanno direttamente allo sportello sventolando il codice QR sul telefonino. Ho passato due mattine in fila con mia madre davanti all'ufficio postale di viale Matteotti e mi sembrava di essere davanti a un centro per la terza età, chi con il bastone, chi in carrozzina, chi malfermo si appoggiava a un muro, tutti fuori ad aspettare il loro turno. Anche solo per spedire una busta, perché' non c’è manco più uno sportello dedicato. Che tu debba investire 100 mila euro o comprare un francobollo, c’è uno solo sportello, e se non hai prenotato sulla app, rischi di passare la mattinata fuori sul marciapiede. E ovviamente il personale, in cronica carenza, non è sempre bendisposto ad ascoltare i tuoi problemi.
Centro vaccinazioni Pala Lancia
In uno dei tanti decreti Draghi, c’è scritto che gli italiani residenti
all'estero (registro Aire) possono essere vaccinati se si trovano
temporaneamente in Italia. Così sono andata a chiedere informazioni nel centro più
vicino a me, al Pala Lancia, che se ben ricordo prima era una palestra.
L'accesso era presidiato da carabinieri in pensione, che dopo avermi
controllato le generalità e provata la febbre, mi hanno scortato dai medici
all'interno dell'edificio. Erano le 10 del mattino ed era semideserto. Ho esposto
il mio caso di italiana residente all'estero senza tessera sanitaria, ai medici
di turno che - non è colpa loro - non hanno capito granché. E' venuto fuori che
la faccenda delle vaccinazioni la gestisce sia l'ASL che la Regione. Mi hanno
dato un numero di telefono e consigliato di rivolgermi a un ufficio ASL di
Settimo, a 20 km circa da Chivasso. Da un canto mi sono sentita sollevata, perché
credevo che essendo nella fascia 50/60 anni, mi vaccinassero sul momento magari
con un AstraZeneca avanzato , e non ero psicologicamente pronta. Dopo un’
ulteriore ricerca all'ospedale, scopro che l'unica strada per avere un
appuntamento è il sito 'piemontevaccina', non avendo io un medico di base.
Certo, è sempre la digitalizzazione, come ho fatto a non pensaci prima. Il sito
è facile da usare, ma la tessera sanitaria è indispensabile per qualsiasi
richiesta, anche soltanto per ottenere informazioni. Alla fine sono riuscita ad
avere una preadesione (al momento in cui sto scrivendo, un mese dopo, non ho
ancora avuto alcun riscontro). Una infermiera all'ospedale mi ha però detto che
'non si aspettavano tante domande da residenti Aire'. Forse tutta la diaspora
italiana, un'altra Italia come numeri, ha fatto domanda perrvaccinarsi in
patria? Per inciso il sito Piemontevaccina
non è raggiungibile all'estero.
Lanzo TorineseVecchio ponte di pietra sulla Stura di Lanzo
In una splendida e caldissima giornata di sole (da quando sono arrivata è
sempre bel tempo) sono andata nella valle di Lanzo a incontrare un amico che
stava praticando rafting sul fiume Stura. Sono andata con la mitica Suzuki250,
la moto che ho regalato a mia figlia per la sua laurea e che con gioia me la
godo quando sono nel Belpaese. Da Chivasso si attraversano una serie di paesoni
dell'hinterland torinese, tra cui Caselle, dove c’è l'aeroporto, e poi si
costeggia il parco della Mandria di Venaria. Da lì il paesaggio diventa
premontano, con tanti prati e boschi, fino ad arrivare a Lanzo, città
strategica nelle guerre tra Piemonte e Francia dove sorgeva un castello
massiccio, di cui si possono ancora vedere i resti. Da Lanzo si sale a Ceres,
ex buen retiro estivo della borghesia torinese, che vive di gloria, ma
sopravvive nei ricordi per la famosa ferrovia Ceres Lanzo. Il trenino, che non
funziona ora, è stato il simbolo della rivoluzione industriale ed è stato anche
uno dei primi in Italia. La costruzione della ferrovia iniziò nel 1868 e circa
10 anni dopo entrò in funzione da Torino a Lanzo. Poi grazie al lavoro dei
prigionieri di guerra e a opere di ingegneria mirabolanti per l'epoca fu completato
il tratto montano fino a Ceres (704 metri). La linea ha il primato di essere
stata la prima ferrovia al mondo elettrificata in corrente continua ad alta
tensione. Nonostante il fiume di soldi spesi, non si è riusciti a rimettere sui
binari il trenino. Rimangono le stazioni, costruite come chalet svizzeri, a
testimoniare il glorioso passato. Peccato. Stazione di Ceres / Museo Ferroviario Piemontese
Ho fatto anche un bel trekking che raccomando, un po’ più su di Lanzo, da
Bracchiello all’alpeggio Pian Peccio (1503 metri), si attraversa un vallone con
torrente, che sembra quello di Jurassic Park.
Milano da bere in bici
Ho avuto la pessima idea di andare a Milano con la bici, cioè con la bici
sul treno e poi circolare a due ruote in centro. Forse sono capitata durante
l'ora di punta o forse non mi ricordavo più come è il traffico milanese. Di
sicuro dubito che nel groviglio di lamiere e gas di scarico possa sopravvivere
un virus. La pandemia è lontana. Scesa a Porta Genova ho puntato per il Duomo,
in teoria è zona a traffico limitato, ma c'erano più veicoli che umani. I bonus
bicicletta, la mobilità sostenibile, le piste ciclabili, lo smart working e
tutte le variegate amenità di cui ho letto nei lunghi mesi di confinamento, non
hanno lasciato traccia sulla metropoli lombarda che per inciso è stata anche
quella più colpita dall’epidemia del Covid19. Pedalare in centro a Milano,
soprattutto con pavé’ e binari dei tram, è un esercizio che richiede molto
addestramento e un pizzico di follia.
Grazie a un amico conosciuto a New Delhi, manager neopensionato, mi sono
ritrovata seppure per un pomeriggio nella Milano da bere. Gelato nella
ciocco-gelateria Venchi (da piemontese dove potevo andare?), visita allo
Starbucks Reserve Roastery appena inaugurato nell’ex palazzo delle Poste a
Cordusio, dove si assiste allo “spettacolo” della torrefazione, apericena in
una terrazza con vista Duomo e cena al ristorante storico La Brisa, giardino
interno che fa molto ‘prive’’, piatti lombardi rivisitati, tipo ‘millefoglie di
lingua con burrata pugliese’ e un vino delle “Colline Milanesi”, di cui non
sapevo l’esistenza, ma la cui terra è perfino celebrata dal Petrarca.
Ovviamente tralascio il dettaglio della spesa di questa mezza giornata
meneghina. Mi è sembrato di stare su un palcoscenico, chissà quanto potrà
andare vanati questa recita.
Milano- Roma in corriera
È arrivata sul mercato una nuova linea di autobus a lunga distanza, Itabus. Io sono una aficionadas di Flixbus e ancora prima di Megabus, mi ricordo di avere fatto memorabili viaggi a 5-10 euro su e giù per la penisola quando sono stati introdotti. Adesso Flixbus è diventato caro, c’è poca differenza con il treno. Ed ecco che è spuntato un concorrente nuovo a sbancare il mercato, Itabus, rosso fuoco come il treno Italo, a tal punto che ho creduto fosse la stessa proprietà. Invece no, è una compagnia privata nata a maggio, post Covid quindi, da una iniziativa di diversi finanziatori, tra cui Luca Cordero di Montezemolo e altri ex di Italo-Ntv. Dunque c’è una connessione. Grazie alle promozioni la tratta Milano-Roma è circa 30 euro, un terzo della Freccia, ma otto ore invece di quattro. Se non si ha fretta, è un viaggio super comodo, in bus a doppio piano, con wifi, prese elettriche, tavolino per lavorare e bagno. Sono partita da San Donato al mattino e sbarcata a Tiburtina, per la cena. Il tempo è volato tra telefonate, un grande classico come l’Isola di Arturo della Morante e riflessioni sulla via Francigena.
Roma inondata dalla spazzatura
Finita nel turbinio di parenti e amici non ho avuto il tempo per gustarmi la Città Eterna. Sono stata a Tiburtina, Cassia e altre zone della cintura, dove non si ha per nulla la sensazione di essere a Roma, sono quartieri belli, ma anonimi, a parte qualche vestigia, come la Tomba di Nerone, però stretta tra strade, negozi e ahimè cassonetti strapieni. Roma sta letteralmente affondando nella spazzatura. Non sono certo la prima a dirlo. Sembra che i suoi abitanti non se ne accorgano neppure più. A qualsiasi ora del giorno e della notte i cassonetti traboccano, eppure ogni tanto li svuotano. Ho chiesto come mai, mi hanno detto che ‘non si capisce’. Stessa cosa anche nei quartieri residenziali “alti’ sulla Cassia. Devo dire che la spazzatura in strada è una costante di questo mio viaggio. L’Italia post Covid si è ritrovata con più monnezza da smaltire? Forse si sta più in casa e si producono più rifiuti? Mistero.
In un caldissimo pomeriggio una delle mie cugine mi ha fatto scoprire la
Riserva naturale dell’Insugherata, una area verde miracolosamente sopravvissuta
a raccordi vari e all’edilizia privata. Il suo nome deriva probabilmente da un
antico casale ma non so se è relativo a qualche specifica coltivazione. Il
parco si trova nell’ultimo tratto della via Francigena, che termina a San
Pietro. O il primo tratto in uscita per chi la percorre al contrario dal Vaticano,
come lo fu il tragitto del vescovo Sigerico di Canterbury che si recò a Roma
nel 990 per ricevere dal Papa il ‘pallio’, ovvero il titolo della sua carica
arcivescovile (tutto questo l’ho letto sulla corriera per Roma). L’idea che
seguendo quel sentiero sarei arrivata in Val d’Aosta mi affascinava. Il cammino
è sulla mia lista di cose da fare prima di morire.
Rimini e le meduse
Altro Itabus, questa volta diretto a nord e sula costa adriatica.
Appuntamento per cena Rimini con un amico. La ’ coast to coast’ in Italia è
sempre un’avventura, i chilometri sono pochi ma c’è la barriera degli
Appennini. Ci ho messo da Tiburtina circa sette ore di un tragitto che
attraversa tutta l’Umbria non sempre agevole, strade provinciali e qualche buca.
Però sono passata in posti incantevoli, tipo Spoleto o Gubbio, pieni di storia
e di letteratura, dove vorresti vivere. L’autobus non era pieno, per i romani
ci sono posti di mare più vicini e più belli delle spiagge romagnole. Rimini mi
ha sempre attratto non tanto per il mare, quanto per il suo centro storico. Il
ponte di Augusto e Tiberio, che ha 2000 anni e dove ci passano le auto,
dovrebbe essere annoverato tra le meraviglie del mondo.
Siccome sono arrivata nel pomeriggio, con un gran caldo, ho deciso di
andare nel primo stabilimento balneare che incontravo e di affittare una sedia
a sdraio. Devo aver scelto il bagno più sgarrupato di Rimini , perché non mi ha
dato una buona impressione. Un po’ decadente, docce solo esterne, però sono
stati disponibili, mi hanno permesso di lasciare lo zaino in uno spogliatoio
chiuso a chiave. Era domenica, solleone, e la spiaggia traboccava di gente,
forse più in acqua che fuori dato il caldo. Forse per le temperature o per la
folla, l’acqua non era molto limpida. Superando la barriera umana, sono andata
a nuotare verso le boe, passando accanto al bagnino, il mitico bagnino di
Rimini sul pattino rosso da salvataggio. Sono ormai delle icone e secondo me li
scelgono anche per la bella presenza. Dopo un po’ mi sono ritrovata in un banco
di grosse meduse bianche. Panico. Ho cercato di schivarle, ma è stato difficile evitarle, sono in tante. Sono tornata
verso riva come un fulmine, un po’ dolorante. Per fortuna, come mi ha detto il
bagnino, non erano cosi urticanti, mi hanno lasciato solo un po’ di rossore e
prurito su gambe e braccia. Adesso capisco perché non ho visto nuotare nessuno
al largo.
Alla fine sono andata a cena a Cervia. Avevo prenotato in un ristorante nel
centro storico, ma non avevano ricevuto la mail, e cosi non c’era posto. Tutti
i ritoranti erano strapieni nonostante la domenica sera quando scatta il
controesodo. Devo ammettere che nell’era post Covid, anche la leggendaria
simpatia dei romagnoli si sta sgretolando. Li ho trovati un po’ scontrosi, sarà
dal sovraccarico di lavoro o dalle mascherine soffocanti, non so. Purtroppo
qualcosa è cambiato anche nella mitica Romagna.
Tamponata e fregata a Orio al Serio
Sono caduta nella classica trappola turistica. Il mio aereo partiva da
Bergamo e quindi ho cercato su Google dove poter fare il tampone rapido
obbligatorio per la Spagna. Dato che l’aereo partiva alle 10 non avevo tempo
per effettuarlo altrove. Ho visto che era possibile a Orio al Serio e ho
prenotato on line (50 euro) sul sito DocVG. Il luogo del tampone era l’hotel NH
che credevo vicino al terminal. Invece era a 800 metri al di la
dell’autostrada, dove la navetta da Milano Centrale non si fermava. In realtà
non l’ho trovato il posto, perché dovevo camminare troppo e sarei stata in
ritardo. Inoltre mi avevano detto che “l’unico posto dove fanno i tamponi
rapidi era nella farmacia interna’. Vero ma non era la mia prenotazione, anzi
non ne sapevano nulla di DocVG. Morale, alla fine ho fatto il tampone nella
farmacia a 35 euro! Sapendolo avrei evitato di fare chilometri e di buttare 50
euro…attenzione agli specchietti su Google!
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