Ecosistemi/La carezza dell'aliseo sulle foreste de La Gomera

 "Tra vent'anni sarai piu' deluso delle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna". Citazione attribuita a Marc Twain  

La Gomera, 21 maggio 2021


   Gli alisei, o 'trade wind' in inglese, sono i potenti venti che hanno portato Colombo nelle Americhe. Le chiamano 'le autostrade del mare' perche' nei secoli hanno spinto i bastimenti per gli oceani facilitando i commerci e l'esplorazione di nuovi mondi. Ma gli alisei, trascinando aria dal nord carica di umidita', sono una risorsa preziosa anche per le isole dell'Atlantico. Sono essenziali per l'ecosistema terrestre. In questa foto, l'aliseo avvolge le cime settentrionali de La Gomera. Le foreste sempreverdi di lauri coperte di muschio trattengono questa nebbia condensata, che e' come una 'pioggia orizzontale',  e "producono'' acqua. Come una sorgente che non sgorga dal sottosuolo, ma al contrario scende dal cielo e si infiltra nella terra porosa e scende a valle. Con questo ingegnoso sistema, gli alberi della Gomera riescono a  sopravvivere alla perenne siccita' dell'arcipelago e anche a alimentare piccole cascate e fonti perenni.
La foresta del Cedro 


Gli alberi quindi non sono solo importanti perche' trattengono il CO2, ma anche perche' contribuiscono all'approvigionamento idrico e quindi potrebbero essere una soluzione per la carenza di acqua potabile nelle citta'. Una delle tante "nature based solutions' che ci vengono offerte gratis dalla natura.    

ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE/I 'pescantes', quando la Gomera viveva di banane

La Gomera, 16 maggio 2021

    La Gomera, una delle più’ piccole isole dell’arcipelago spagnolo delle Canarie, non finisce mai di stupire. A Hermigua, villaggio agricolo sul lato settentrionale, quello sopravvento quindi più inaccessibile, sopravvivono i resti di una infrastruttura portuale degli inizi Novecento chiamata ‘pescante’ che serviva per lo scarico e carico delle merci (e persone) sulle navi bananiere. Sono alcuni grossi piloni di calcestruzzo di 20 o 30 metri altezza costruiti nella baia che servivano come base a una gru montacarichi. Non essendoci un porto o un molo dove attraccare, questo ingegnoso sistema permetteva ai battelli di caricare le loro mercanzie abbastanza in sicurezza. Le merci, banane soprattutto, venivano prima calate in scialuppe a remi e poi trasferite a bordo dei mercantili che sostavano al largo in fondali più profondi.
La piscina naturale con sullo sfondo i resti del 'pescante'


   Nella costa settentrionale dell’isola, dove a tutt’oggi non ci sono porti o marine, i ‘pescanti’ erano cinque e si possono vedere ancora i resti di quello che un secolo fa era una fiorente attività delle Canarie. Negli archivi fotografici in Rete si trovano le testimonianze di questo modo di trasporto che per l’epoca era considerato altamente tecnologico. Oltre a banane e pomodori, coltivati in questo lato dell’isola, che è più’ ricco di acqua, venivano ‘caricate’ anche le persone, dirette nelle altre isole dell’arcipelago oppure nell’unico porto di San Sebastian de La Gomera. I passeggeri erano stipati nelle ceste da carico insieme alle mercanzie. Ovviamente quando c’era maltempo non era possibile, nessuna barca poteva sostare sotto la gru, senza essere trascinata via dai marosi.
Da Los Sucesos de Hermigua, 1933 - Jaime Marquez 


    Il ‘pescante’ entrò in disuso quando fu costruita la strada asfaltata tra Hermigua e la capitale di San Sebastian, l’antico porto costruito dagli spagnoli, e ancora oggi unico punto di approdo per i traghetti. Con i camion si faceva prima e anche con meno fatica.
   Simili strutture, essenziali per l’esportazione dei prodotti agricoli, furono costruite più o meno nello stesso tempo anche in altre baie, come Agulo, la Caleta, San Lorenzo. Anche Vallehermoso, altro centro agricolo sul versante nord occidentale aveva la sua gru. La costruzione dei ‘pescanti’ a La Gomera è legata alla rivoluzione industriale in Inghilterra. Il commercio delle banane è infatti iniziato dall’idea di un imprenditore britannico di Liverpool, Edward Wathen Fyffe, che dopo una vacanza alle Canarie (sembra per curare la moglie da tubercolosi) ‘scopri’ le saporite e piccole banane canarie e decise di introdurle sul mercato inglese. Nel 1888 comincia quindi a esportare banane in Gran Bretagna usando una sua flotta di navi e creando una rete di distribuzione su scala industriale con stabilimenti in loco per l’imballaggio della frutta e offrendo expertise (e finanziamenti) per costruire le gru. Il business, a cui si aggiunsero dei soci, ebbe un enorme successo, il commercio fu esteso ai Caraibi e nel 1901 nacque anche una compagnia di trasporto marittimo, la Elders&Fyffes, che fino agli anni Settanta serviva anche per crociere dato che approdava nei più’ bei paradisi tropicali. Oggi Fyffes è un gigante della frutta, ha sede in Irlanda e nel 2017 è stata comprata dal gruppo giapponese Sumitomo, uno dei più’ grandi conglomerati mondiali.
   Il suo nome è entrato anche in un triste capitolo della storia spagnola, in quanto alcuni magazzini a Tenerife furono ceduti nel 1936 al regime franchista per farne una prigione per dissidenti. La famigerata “prigione Fyffes” è per molti un brutto ricordo.

   Una docente di paleografia dell’università de La Laguna, a Tenerife, Gloria Diaz Padilla, ha studiato la storia dei ‘pescantes’. Nel 2008 ha pubblicato un libro illustrato “Pescantes de la Gomera” dedicato a queste infrastrutture portuarie concentrate sulla costa settentrionale dell’isola.
   Non solo contribuirono allo sviluppo economico dell’isola nel secolo scorso, favorendo le esportazioni, ma hanno permesso anche di rompere l’isolamento della popolazione e di favorire il trasporto di medicinali e anche di malati.
    Il luogo è oggi molto popolare tra i bagnanti. Una piscina naturale, una grande vasca di cemento che si raggiunge attraverso uno sterrato, è l’attrazione principale. Da lì si gode una vista incomparabile sul vecchio pescante con sullo sfondo il vulcano Telde di Tenerife.

AZZORRE/Laura Dekker, la baby velista, ora madre, con un nuovo Guppy

 "If you want to see the other side of the world, you can do two things: turn the world upside down or travel there yourself". Dedica del libro/biografia di Laura Dekker, "One Girl, One Dream", 2013

Horta (Azzorre centrali), 3 maggio 2021

   Il porto di Horta, nell'isola di Faial, e' un vero 'hub' dei velisti di tutto ill mondo, anche se quest'anno la pandemia ha notevolmente ridotto le presenze. Quando sono arrivata dalle Canarie a bordo di Ben More, un Halberg Rassy di 39 piedi, appartenente a un amico inglese che sta cercando di tornare a casa, ho subito visto una barca dallo scafo rosso vivo con un nome molto familiare, Guppy. E' il veliero di Laura Dekker, che nel 2009 all'eta' di 16 anni ha fatto il giro del mondo in solitaria (con scalo) diventando la piu' giovane ragazza a compiere questa impresa. La sua avventura e' raccontata nel libro 'One Girl, One Dream', uscito nel 2013 e anche in un documentario disponibile in Rete. La ex bambina prodigio della vela,  di nazionalita' olandese e neozelandese, ha ispirato non poche donne a praticare questo sport, che con il motociclismo e' uno degli ultimi baluardi maschili. Il coraggio e soprattutto la determinazione di Laura Dekker, che ha dovuto combattere contro tribunali e governi oltre che con le burrasche, sono stati un esempio per tante giovani skipper.  


   La ex"One Girl, One Dream" ha ora 25 anni e due anni e mezzo fa e' diventata madre di un bambino che si porta sempre dietro, proprio come facevano i suoi genitori con lei.. Ho letto che ha divorziato 2017 e che ha ora un altro compagno. Dopo la circunavigazione, e il clamore mondiale che l'ha resa famosa, si e' stabilita in Nuova Zelanda, suo luogo natale, lavorando come skipper e tenendo conferenze motivazionali. Ha una fondazione, Laura Dekker World Sailing Foundation Programme, dedicata ad adolescenti che vogliono imparare la vela d'altura.  Dopo essere partita dall'Olanda nel novembre 2020, ha passato il lockdown nei caldi mari dei Caraibi con la famiglia e diversi studenti (otto per volta, da un mese a sei messi) e ora sta riattraversando l'Atlantico facendo tappa alle Azzorre, che sono a meta' strada.    

    Il due alberi ormeggiato al muro esterno della marina e' la sua nuova barca,  uno Scorpio 72, con lo stesso colore rosso e l'inconfondibile pesciolino Guppy. Il ketch Jeanneau da 11 metri con cui ha fatto il giro del mondo, preparato da suo padre, un velista esperto che a sua volta ha navigato intorno al globo, e' purtroppo naufragato qualche anno fa alle isole Cook. Era stato affittato a una scuola di vela. Che fine ingloriosa e - immagino - anche che tristezza per la Dekker.        

Il disegno sul molo della marina di Horta 
     Come tradizione, sul cemento del molo di Horta, l'equipaggio di Laura ha disegnato il logo di Guppy, a testimoniare il suo passaggio alle Azzorrre. Ho visto Laura, un paio di volte, sempre insieme al suo piccolo. Ricordo di aver letto nella biografia, della sua avversione verso i giornaliti e la pubblicita'. penso che si "esponga" soltanto quanto basta per guadagnarsi da vivere.

     Il Guppy e' stato solo pochi giorni ormeggiato a Horta. Una mattina, approfittando di pausa nelle continue piogge di questa stagione, ho visto che ha mollato gli ormeggi. Facevano tutto i suoi ragazzi, lei stava guardando l'orizzonte con suo figlio. Chissa', forse sognando altre avventure.  

AZZORRE / Le isole degli ultimi balenieri (e delle ultime balene)

"Non pochi di questi marinai delle baleniere sono delle Azzorre, dove le navi di Nantucket si fermano spesso lungo il viaggio d'andata per ingrossare gli equipaggi coi forzuti paesani di quelle coste di pietra....Perché non si sa, ma pare che gli isolani risultano i balenieri migliori".
Hermann Melville
Moby Dick o La Balena (1851) Traduzione di Cesare Pavese

Horta, 2 maggio 2021
   Non si puo' pensare alle Azzorre senza ripercorrrere la storia della caccia alle balene. L'arcipelago portoghese, nove isole nel mezzo dell'Atlantico a meta' strada tra Europa e Usa, ha una ricco passato legato all'industria baleniera. Per un secolo, fino al bando internazionale del 1985, la cattura, macellazione e lavorazione del grasso di balena per la estrazione di olio e vitamine e' stata la principale atttivita' delle isole di Pico e di Faial. Insieme all'altrettanto redditizia presenza delle compagnie mondiale di servizi telegrafici e posa dei cavi sottomarini sul fondo dell'Atlantico, ha contribuito alla prosperita' di queste sperdute ma strategiche isole vculcaniche.
Non sono passati che 30 anni fa da quando i balenieri delle Azzorre, i 'migliori' in circolazione secondo Melville, appesero gli arpioni al chiodo. E' rimasto tutto intatto: gli attrezzi dell'arte baleniera, le scialuppe nei porti e le grandi fabbriche dove si sventravano i cetacei appena catturati per estrarne il prezioso olio e altre sostanze usate sia nella nascente rivoluzione industriale che nell'alimentazione grazie alle sue proprieta' nutritive. Si' perche', come e' descritto magistralmente nelle pagine di Moby Dick, il grasso di balena era come il petrolio dell'era moderna. Era preziosissimo e non stupisce che le balene sono ora in via di estinzione.
'Bota' nel Museu dos Baleeiros / Lajes de Pico

   Nei principali porti di Faial e Pico le tracce della scomparsa industria baleniera sono ovunque. Le fabbriche sono state trasformate in musei che documentano l'arte baleniera in tutti i dettagli con fotografie e documentari dell'epoca. Alle Azzorre la caccia alle balene era di tipo stanziale, nel senso che non c'erano navi baleniere che solcavano gli oceani come il Pequod del romanzo di Melville. Non c'era bisogno perche' i capodogli, i branchi di cetacei 'dentati' piu' preziosi per il loro olio chiamato spermaceti, erano una presenza costante al largo di Faial, Pico o Sao Jorge, le tre principali isole delle Azzorre Centrali.
   A Pico, dove c'era la maggior concentrazione di balenieri, ci sono ben due musei. Uno sorge a Lajes de Pico nell'ex officina dove i fabbri forgiavano arpioni, lance e altri attrezzi per la lavorazione. Nel 'Museu dos Baleeiros' si puo' assistere alla proiezione di un raro documentario del 1969, "Gli Ultimi Balenieri", che testimonia ogni fase di questo mestiere allora gia' in declino per via dei lubrificanti sintetici.
'Vigia da Baleia', la sentinella delle balene


   Era la "sentinella delle balene", nella sua torretta chiamata in portoghese "vigia da baleia" a dare il segnale agli uomini dell'isola con razzi o quando fu disponibile con il telefono. Gli spruzzi dei cetacei sono visibili anche a grande distanza, ma bisognava fare in fretta per cattturare le prede. Le squadre dei balenieri correvano al porto e mettevano in acqua delle eleganti scialuppe, dette 'bota', gia' attrezzate con tutto l'occorrente per la caccia, compreso un barile con 300 metri di corda sapientemente arrotolata. E' la fune che la balena, una volta arpionata, porta negli abissi dell'oceano  trascinando con se la barca dei balenieri fino a quando non si stanca. Proprio come nel 'Vecchio e il Mare' di Hemingway, ma con la differenza che il 'mostro', quando affiora, viene colpito ripetutamente dalle lance affilate dirette ai polmoni e al cuore fino a quando soccombe. Il documentario mostra un combattimento cruento, sembra quasi una 'corrida'. Ci vuole una grande abilita' a anche una buona dose di coraggio. Anche se verrebbe da tifare per la povera balena agonizzante in una grande chiazza di sangue.
   Negli anni d'oro i balenieri di Pico arrivavano a cacciare due balene alla settimana. Le grandi caldaie, usate per estrarre l'olio dal grasso, sono ancora visibili nell'ex stabilimento di Sao Roque, Pico, diventato ora il 'Museo da Industria Baleeira'. Creata nel 1941, questa fabbrica serviva per la produzione di olio e di tutti i derivati del capodoglio poi destinati all'esportazione. Era la piu' grande e importante industria baleniera delle Azzorre, come si puo' vedere oggi dai suoi macchinari e tecnologia che all'epoca era di tutto rispetto, soprattutto per una remota isola in mezzo all'Atlantico.
Oltre al grasso, dal capododoglio proveniva anche l'avorio dei denti e ossa.  Ne e' derivato un prezioso artigianato, un po' come quello delle zanne di elefante in Asia: da semplici utensili, come pomelli o monili, fino a diventare una specifica arte dei balenieri, quella delle incisione e pittura su denti di balena nota come 'screenshaw'.