CANARIE E COVID/ Un'altra Pasqua senza turisti

 La Palmas (Gran Canaria),  30 marzo 2021

   All'ingresso del porto di Las Palmas, provenendo da sud, sono ancorate due navi da crociera con dei vistosi disegni, tra cui delle labbrone rosse sulla prua. Sono due navi della flotta Aida, il marchio tedesco del colosso Costa, Stazionano fuori dal porto, forse  per risparmiare sull'attacco, in attesa di imbarcare clienti o semplicemente perche' non sanno che fare. Per questa Pasqua, Aida pubblicizza una crociera Covid free (con tampone) di sette giorni a prezzi stracciati nell'arcipelago delle Canarie. Un'isola al giorno senza scendere a terra. E' l'unica crociera che offre Costa per le feste di Pasqua. Gia' tanto che ci sia.

Una nave Aida ancorata fuori dal Porto di Las Palmas

Per il secondo anno consecutivo, la 'Semana Santa', come chiamano la Pasqua in spagnolo, vedra' un altro flop per l'industria turistica delle Canarie. Le restrizioni anti Covid sono un po' meno severe rispetto al resto della Spagna, proprio per favorire il turismo europeo. Basta fare il PCR entro le 72 ore dalla partenza.  Ma per tutto il periodo pasquale (fino al 9 aprile) non si puo' viaggiare da isola a isola e a Gran Canaria, Tenerife e Fuerteventura vige un coprifuoco notturno dalle 22 alle 6 del mattino.

   La curva dei contagi nell'arcipelago segue piu' o meno quella del resto dell'Europa. Ieri ci sono stati 151 contagi (quasi la meta' a Gran Canaria) e tre morti, purtroppo il trend e' stabile. Solo le isole piu' piccole come la Gomera e Hierro non hanno casi. 

   Come si puo' immaginare, l'impatto sull'economia, largamente basata sul turismo, e' devastante. Un dato per tutti: prima della pandemia le auto a noleggio erano ben 82 mila, dopo un anno si sono ridotte a 22 mila e riempiono i parcheggi degli aeroporti. Le compagnie di autonoleggio hanno preferito vendere le auto a prezzi stracciati pur di nnon avere i costi di assicurazione e parcheggio. Il parco auto a disposizione dei turisti e' tornato ai livelli del 1985. 

Lungo mare di Maspalomas deserto

    Nonostante alberghi e ristoranti siano pronti, i turisti non ci sono. Le frontiere sono aperte e piu' o meno sembra tutto normale (a parte il coprrifuoco e la chiusura di luoghi di divertimenti e di cultura). Ma non c'e' nessuno. Le Canarie, che lo scorso anno hanno battuto la strada della destinazione turistica Covid free, hanno fallito nel loro intento. Non hanno tenuto conto dei lockdown parziali in Europa e soprattutto del bando dei viaggi all'estero dei britannici, che sono gli aficionados piu' numerosi delle calde spiaggie spagnole. 

CANARIE/Una zona protetta per le balene tra Tenerife e Gomera

San Sebastian de la Gomera, 20 marzo 2020

   Il tratto di mare tra l’isola di Tenerife e la Gomera, largo circa 80 chilometri, è uno dei più suggestivi dell’arcipelago spagnolo delle Canarie. Non solo per la maestosità del vulcano Teide di Tenerife (3.715 m) che si specchia nel blu dell’oceano, ma anche per la presenza di delfini e balene. Lo scorso gennaio, un’associazione britannica nata nel 2015 che si chiama World Cetacean Alliance (WCA) ha riconosciuto la fascia di mare davanti alla costa occidentale di Tenerife come “Patrimonio per la Salvaguardia delle Balene”. È il primo luogo di questo genere in Europa dichiarato dalla WCA e il quarto al mondo (dopo Hervey Bay in Australia, The Bluff (Sudafrica) e Dana Point (Stati Uniti) (leggi qui).


   Nei 20 chilometri di costa tenerifina che va da punta Teno al porticciolo di La Galleta vivono circa 200 esemplari di “balena pilota” o globicefalo, un grosso delfino (5 o 6 metri), di pelle scura e con pinne corte. I “calderon”, come vengono chiamati in spagnolo, sono creature un po’ bizzarre. Stanno immobili sulla superficie, in larghi gruppi, con la massiccia testa a “uovo” fuori dall'acqua. Non hanno paura delle barche, non si spostano anche quando si è molto vicini. Poi improvvisamente scendono negli abissi a mangiare molluschi cefalopodi rimanendo sotto per lunghissimo tempo.
   Da anni sono una delle principali attrazioni turistiche nel sud di Tenerife e anche una buona fonte di reddito per decine di barcaioli che organizzano i tour di avvistamento balene (1,4 milioni di turisti nel 2019). Il globicefalo non è una specie rara da proteggere, a differenza di altri tipi di cetacei che popolano o che transitano nel canale tra Tenerife e La Gomera. L’attività di avvistamento è già regolamentata dalle autorità locali per non disturbare troppo i branchi che pacificamente “pascolano” nel tratto di mare. Ma non sempre sono rispettate le distanze di sicurezza, si spera che ora con questo riconoscimento ci sia più attenzione. Di sicuro, con la pandemia e il crollo del turismo, i “calderon” possono ora stare tranquilli. Devono solo fare attenzione ai ferries che collegano Tenerife e Gomera.
   L’area era già entrata a fare parte delle “zone speciali di conservazione”, secondo le direttive della Ue, e quindi è esclusa dal traffico dei cargo. C’è chi vorrebbe una vera e propria riserva marina con divieto di pesca e anche del passaggio degli traghetti superveloci che connettono le isole e che talvolta travolgono le pigre balene pilota sulla loro rotta.

VACCINO ANTICOVID/E se provassimo con l’artemisia della Gomera?

 San Sebastian de La Gomera, 12 marzo 2021

   Per via delle abbondanti piogge di dicembre e gennaio, l’isola de La Gomera, una delle più’ piccole dell’arcipelago delle Canarie,  è un’esplosione di fiori e erbe profumate. Cosi non si la  vedeva da tempo. La gente del posto dice che questa è la vera primavere canaria e non la steppa di cactus che si era creata dopo tre anni di siccità.  Tra gli arbusti selvatici più curiosi, per via del profumo pregnante, c’è una specie endemica di Artemisia, chiamata Artemisia Thuscola o argentata, o “mol” dagli indigeni canari, i guanchos.  L’artemisia è una pianta diffusa in tutto il mondo, spesso considerata un’erbaccia da estirpare, a cui appartengono circa 400 specie, alcune molto diverse da loro e con diverse proprietà mediche, tra cui potrebbe esserci quella contro il Covid. Per alcuni è l’erba dell’assenzio, il famoso distillato verde che sa di anice, la “fata verde’ della bohème parigina.  Lo stesso vermouth, prodotto per la prima volta a Torino e medicinale prima di diventare aperitivo, deriva il suo nome dal tedesco Wermut ("wormwood" come gli inglesi chiamano la varietà di Artemisia Absinthium). Quindi il Martini sarebbe in realtà un vermifugo e antisettico (le movide degli aperitivi milanesi a questo punto andrebbero rivalutate!).


   Anche la specie delle Canarie, che cresce spontanea nelle vallate a circa 700-800 metri di altezza, possiede delle sostanze benefiche, in particolare per problemi intestinali e anche come antiparassitario per gli animali.  È impiegata in diversi prodotti naturali venduti nelle erboristerie e citata nel libri del medico naturopata  S. Jorge Cruz Suárez, “Más de 100 Plantas Medicinales en Medicina Popular Canaria”.  La si trova soprattutto sui sentieri di trekking nell’ovest della Gomera e il suo odore è inconfondibile.

   L’artemisia è salita di recente alla ribalta della cronaca per un suo derivato, l’artemisinin (AN), una sostanza già usata nella medicina tradizionale cinese e africana, che di recente è stata riconosciuta dall’OMS come trattamento antimalaria  (qui ci sono tutti i dettagli).  Questa molecola è estratta dall’Artemisia Annua, una delle tante varietà di artemisia diffuse su tutto il pianeta.  È stata “scoperta” dalla farmacista cinese Tu Youyou che nel 2015 ha vinto il premio Nobel per la medicina, insieme ad altri ricercatori, per i loro studi nel campo della malaria e delle infezioni parassitarie che nei paesi più poveri uccidono milioni di persone ogni anno. Oggi giorno il preparato dell’OMS a base di artemisinin è uno dei rimedi  più’ efficaci contro la malaria. 

   Lo scorso anno, in piena pandemia e quando le speranze di un vaccino sembravano molto lontane nel tempo, si è tornati a parlare delle potenziali proprietà dell’artemisia. In Madagascar è stato prodotto uno sciroppo, e ora anche delle capsule, a base di Artemisia Annua. Gli studiosi locali sostenevano che il principio attivo dell’erba poteva essere efficace anche contro il nuovo virus Sars Coronavirus. Il presidente del Madagascar, il vivaio mondiale delle erbe medicinali, aveva dichiarato che il preparato in commercio poteva prevenire il Covid 19 e che era pronto a esportarlo negli altri paesi Africani, cosa che avvenne nonostante la mancanza di un approvazione da parte dell’OMS. La stessa organizzazione di Ginevra prese le distanze dall'iniziativa  chiedendo però che si iniziassero a studiare le potenzialità dell’Artemisia Annua nel combattere il nuovo coronavirus (qui il comunicato del maggio 2020.)

   Nel frattempo una start up spagnola di biotecnologia sta studiando la pianta dell’Artemisia Annua in una fattoria ecologia nel nord di Tenerife. In origine le ricerche si concentravano su prodotti antimalarici, ma ora sono indirizzate ovviamente al Covid. La piccola società, che si chiama Biotech Trichofarming Researh studia le proprietà dei “tricomi” (i peli delle piante) di diverse erbe medicinali e aromatiche, in particolare l’Artemisia Annua coltivata alle Canarie.  Dopo alcuni anni di esperimenti,  la società ha iniziato a commercializza un prodotto con il marchio di Artennua, che secondo quando si legge sul website avrebbe delle proprietà di rafforzare il sistema immunitario e quindi di combattere il Covid.

   L’artemisia non può ovviamente essere un vaccino, ma può prevenire le aggressioni dei virus secondo il basilare principio di tutte le medicine tradizionali, come la millenaria ayurveda indiana, che si concentrano sul rafforzamento delle nostre difese immunitarie naturali. Una strada che purtroppo  non sembra essere stata molto battuta nelle strategie nazionali di difesa sanitaria anti Covid.  

 

Canarie/A caccia di gomme usate sui fondali de La Gomera

 San Sebastian de La Gomera, 7 marzo 2021

   Un classico esempio di come le buone intenzioni possano rivelarsi con il tempo dei disastri ambientali. Nei fondali marini di tutto il mondo, comprese le Canarie, giacciono milioni di pneumatici usati di tutte le marche e dimensioni. Erano stati deliberatamente buttati in mare a partire degli anni 70 con lo scopo di creare delle barriere artificiali lungo le coste per generare un ecosistema marino e favorire la pesca. La "pensata", supportata da ricercatori americani, come quelli della Osborne Reef in Florida, e naturalmente dai produttori di gomme si e' rivelata del tutto fallimentare con gli anni. A causa degli uragani tropicali e delle correnti marine oceaniche le gomme sono finite ovunque e quello che e' peggio si e' scoperto che erano inquinanti e non biodegradabili a causa della mescola di colle e sostanze chimiche necessarie per la lavorazione del caucciu'. 

   Non e' chiaro se le discariche di gomme sui fondali delle Canarie siano frutto degli infausti progetti di favorire la pesca costiera oppure siano stati trasportati qui dalle correnti atlantiche. Da alcuni anni il problema e' venuto a galla anche nell'arcipelago spagnolo. Ci sono dei progetti di recupero delle gomme con l'aiuto di università, associazioni ambientaliste e subacquei specializzati. Si' perché questo tipo di pulizia richiede una certa expertise ed e' ovviamente costosa. 

Volontari dell'associazione Sebadal (Foto Sebadal)

All'isola de La Gomera, una delle più piccole delle Canarie,  la pulizia e' iniziata soltanto quest'anno grazie a un accordo con una piccola associazione ambientalista locale, Aglayma e il club subacqueo El Sebadal. Lo scorso venerdì i volontari hanno effettuato la loro seconda uscita nei pressi del porto di San Sebastian (leggi qui la notizia) a cui ho partecipato anche io.  Avevano già individuato il tratto di fondale da ripulire e si trattava solo di recuperare le gomme. Il compito e' abbastanza complicato. Si tratta di sollevare i pneumatici, che spesso sono tra le rocce o sommersi nella sabbia e attaccarli a un pallone gonfiabile che li porta fino alla superficie. Quindi il materiale viene issato a bordo da altri volontari sulla barca di appoggio. In due ore di lavoro sono state recuperate mezza dozzina di gomme da auto e una più grande, probabilmente di un escavatore. Ovviamente più e' pesante la gomma e più grande deve essere il pollone gonfiabile. Il materiale e' stato poi preso in consegna da addetti municipali e inviato ad un impianto di riciclo dei pneumatici (tra i vari usi c'e' quello di farne del catrame per il manto stradale). 

Con i volontari di Aglayma e Sebadal (Foto Aglayma)

  Non ci sono statistiche su quanti pneumatici possano esserci sui fondali delle Canarie.  Circa 40 anni fa, vicino a Fort Lauderdale, in Florida, le autorità locali e i pescatori diedero vita alla costruzione di una barriera artificiale, la Broward Artificial Reef,  buttando circa due milioni di gomme a una ventina di metri di profondità. I pneumatici erano tenuti insieme da cavi metallici che pero' evidentemente non furono abbastanza resistenti alle intemperie. Al progetto partecipo' anche la marina americana e la industria Goodyear, tutti convinti di fare un ottimo lavoro e nel contempo anche di sbarazzarsi di tonnellate di gomme usate.  Negli anni, e con costi enormi, ne sono stati recuperati solo un terzo (leggo da Wikipedia).

   Il progetto fu imitato in tutto il mondo, e analoghe barriere "pneumatiche" (tires reefs) furono create nel Golfo del Messico, Indonesia, Malaysia e lungo le coste africane. Addirittura "l'esperimento" americano fu replicato in Costa Azzurra dove il governo francese ha speso una fortuna per ripulire il fondale.