Inquinamento/Canarie, le spiagge di micro plastiche

 La Gomera (Isole Canarie), 29 dicembre 2020

   Ho partecipato a una campagna di pulizia organizzata da una piccola ma molto attiva associazione ecologica, Aglayma, che da qualche anni è incaricata dalle autorità locali di ripulire le coste de La Gomera, l'isoletta a sud di Tenerife. Insieme a una trentina di volontari abbiamo ripulito un tratto di litorale che fa parte della riserva di Pantallana. Si trova a una decina di chilometri a nord della città principale di San Sebastian ed e famosa perché qui sorge una bellissima ermita (eremo) dedicata alla Madonna di Guadalupe, protettrice dell'isola  (ne avevo parlato in questo post).

I volontari davanti all'Eremo di Pantallana

   Le plastiche che inquinano questa costa rocciosa sono esclusivamente di origine marina, portate dalla corrente da nord est e dal vento degli alisei che spira costante dal lato settentrionale dell'isola. Essendo una riserva protetta non ci sono insediamenti abitativi e neppure flussi turistici. Oltre tutto non e' una spiaggia di sabbia, ma di sassi abbastanza grandi. Ogni marea lascia quindi un nuovo strato di detriti. Si trova di tutto, da copertoni, alle onnipresenti bottiglie di acqua, da zainetti, abbandonati forse dai migranti che scappano dalle coste africane, a resti di reti da pesca fino al contenitore giallo della sorpresa degli ovetti Kinder Ferrero. In un paio di ore ho raccolto più o meno una decina di chili, in maggioranza plastica,  concentrandomi anche sui pezzi più piccoli, come i tappi di bottiglia. Ero tutto sommata soddisfatta fino a quando non ho fatto una scoperta terrificante. 

   Per tirare fuori una corda ho spostato alcuni sassi e sotto, più o meno a una spanna di profondità, ho visto altri frammenti di plastica. Appena ho cercato di afferrarli mi si sono sbriciolati tra le dita. Sbriciolati in pezzi cosi' piccoli che era praticamente impossibile raccoglierli, manco con una pinzetta per le ciglia. Con delicatezza ho cercato di estrarre un tappo di bottiglia, ma sotto un altro sasso ne e' comparso un altro, e poi un altro ancora. Insomma tutta la spiaggia, a circa 20 o 30 centimetri di profondità era una distesa di micro plastiche, probabilmente più vecchie o forse solo risalenti a maree piu' basse. Come diversi strati geologici. Non avevamo ripulito che la superficie, probabilmente alla prossima marea, e qui le maree sono di circa 2 metri ogni sette ore, rispunta fuori tutta l'immondizia. E le micro plastiche, alcune invisibili, finiscono inevitabilmente in mare e l'intero ecosistema e' cosi' compromesso per sempre. Pensateci la prossima volta che comprare una bottiglia di acqua. 

SLOW TREKKING/ La Gomera – Da Chorros de Epina al villaggio di Arure

La Gomera, 23  dicembre 2020 

  La Gomera, una delle più piccole delle isole Canarie, è la mia preferita per il trekking. Ha una serie impressionante di sentieri per tutti i gusti e tutte le gambe. A differenza del resto dell’arcipelago, non “possiede” un vulcano e non si conoscono attività sismiche, anche se i suoi picchi multicolori e multiformi sono frutto di chissà quale tipo di movimento della crosta terrestre milioni di anni fa. Leggo che l’isola ha 18 milioni di anni e che le “piramidi” o “colonne” di roccia che caratterizzano il suo paesaggio sono state causate dalla lenta fuoriuscita del magma e che poi nei secoli sono state modellate dall'erosione del vento.
   I paesaggi sono molteplici, si va dalle immense scogliere alle foreste pluviali, dai prati e bananeti a canyon con strapiombi, ognuno con un microclima diverso. Camminando si attraversa tutta questa varietà di ecosistemi.
   Il cammino che ho percorso è da Chorros de Epina, un cucuzzolo dove c’è una fontanella magica (ne avevo parlato in questo post) fino al villaggio di Arure, passando per il villaggio di Alojera, nell’ovest dell’isola. Sulla mappa dei sentieri dell’Ufficio Turistico (www.lagomera.travel) è indicato come numero 10, lunghezza 8.7 km, circa 3 ore, con un dislivello di 600 metri in salita e altrettanti a scendere. Come sempre l’indicazione del tempo di percorrenza è forse basata su esperti camminatori…meglio sempre calcolare una ora in più. La difficoltà indicata è “media”, ma nell'ultimo tratto diventa decisamente ardua, secondo me. Il trekking fa parte della rete di sentieri chiamata GR-132 ed è indicato con questo numero. 
   I primi quattro km sono in discesa lungo una vallata verdissima che scende dal parco naturale di Garajonay, la foresta di lauro. Ci sono dei prati, sembrano dei pascoli, fichi d’india e qualche palma canaria, Phoenix canariensis, impiegata per produrre il miele di palma estratto dal “guarapo”, la linfa. Lo sciroppo di palma è simile allo sciroppo d’acero prodotto in Canada. Ci sono anche diversi arbusti, che crescono in montagna, alcuni profumati, tipo lavanda, di sicuro specie endemiche, ma la mia ignoranza in botanica è abissale.


   La discesa termina  a fondovalle, nel villaggio di Alajera, praticamente sulla costa, che è esposta ai venti del nord. Purtroppo c’è stata una edificazione selvaggia intorno al villaggio e parte del sentiero finisce in terreni privati. A un certo punto è interrotto da un cancello e gli abitanti del luogo non sembrano gradire troppo i turisti che sconfinano. Un grande pannello che indicava il sentiero e anche dava informazioni su fauna e flora è stato spianato da una ruspa. Insomma evidentemente c’è qualche problema.
    Un po’ a fatica  ho ritrovato il sentiero (GR 132) in direzione di Arure, tre chilometri appena, ma al di la’ di una vallata. Pensavo il cammino scendesse nel fondovalle per poi risalire, invece si inerpica intorno a una “torre”, un monolite, che mi ricorda le Meteore vicino a Salonicco, in Grecia. Le pareti di roccia sono scavate dall'erosione e formano dei curiosi bassorilievi.

    La difficoltà non è eccessiva, perché la salita è abbastanza graduale, però non bisogna soffrire di vertigini….
    Si arriva a una cappella (ermita di San Salvador) e a un belvedere, che domina sul piccolo borgo di Taguluce, accollato a un dirupo tra palme e “benedetto’ da una sorgente che ha permesso nei secoli l’insediamento e le coltivazioni.

Covid e Natale/ il dilemma dell'emigrato: torno o non torno?

La Gomers (isole Canarie), 15 dicembre 2020

   In questi giorni migliaia di emigrati italiani come me vivono il dilemma del "torno o non torno". Rinuncio a passare le festivita´ di Natale con genitori o figli oppure metto a rischio la mia (e loro salute). Il coronavirus ci mette di fronte a questo bivio. Un dilemma inedito che e´piu´morale che sanitario.
   Nel primo lockdown il problema non si poneva perche´ i governi avevano deciso di chiudere le frontiere bloccando centinaia di migliaia di cittadini italiani all'estero. Ora l'emergenza e´piu´o meno la stessa, ma non ci hanno piu´privato delle nostre liberta´individuali come prima. La scelta ricade su di noi, liberi se correre il rischio o meno di contagiarsi e contagiare il prossimo. Non so cosa sia meglio.
Il "pensieroso" -
 Ritratto di Lorenzo de Medici duca di Urbino   


   La Farnesina nel suo sito esteri.it scrive che "considerato l'aggravarsi della situazione epidemiologica in Europa, la Fanesina raccomanda a tutti i connazionali di evitare viaggi all'estero se non per ragioni strettamente necessarie¨ minacciando poi che potrebbe essere non facile rientrare in patria. Nel mio caso si tratta di rientrare in Italia (ho gia´un volo il 20 dicembre)  e ripartire dopo le vacanze natalizie il 7 gennaio. Quali sono le mie "ragioni strettamente necessarie"? Passare il Natale con i miei genitori ultraottantenni e con mia figlia. Si puo´ definire "necessario" questo bisogno di rispettare una tradizione religiosa che prevede la famiglia riunita intorno al panettone? O questo bisogno di rapporti affettivi si puo´ rimandare in un'altra occasione, per esempio a Pasqua (incrociando le dita)? Chi potrebbe pronunciarsi su questo dilemma morale: il premier Giuseppe Conte o il Papa?
   Vorrei invece che mi si dicesse chiaramente quali sono i rischi di contagio nel viaggiare, quanto sicuro e´il tampone obbligatorio 48 prima del viaggio e se e´ sufficiente la protezione della mascherina. E che mi si dicesse chiaramente se la zona dove vado, nel mio caso il Piemonte, e´ancora a rischio o meno soprattutto ora che e´ stata declassata al colore giallo.
   Se veramente c'e´il pericolo  di una terza ondata, che nel periodo invernale si sommerebbe alle influenze stagionali gia´di per se letali, allora perche´non chiudere di nuovo le frontiere? Tanto il turismo e' gia´morto. Perche' creare ulteriore confusione con minacce velate di nuove restrizioni? Se e´ "strettamente necessario" che non ci si muova per andare a festeggiare in Natale in famiglia basta dircelo.

Come vivere in barca a vela alle Canarie (e non essere ricchi)

La Gomera (arcipelago delle Canarie), 11 Dicembre 2020

   Complice la crisi economica e ora anche l’emergenza sanitaria si recente sto ricevendo molte richieste di informazioni sulla mia decisione di vivere in barca a vela. C’è molta curiosità sul come riesca a vivere senza lavorare, quanto spendo e dove scelgo di vagabondare per mare. Mentre, soprattutto in Italia, alcuni anni fa la mia scelta di vita era considerata “fuori dal coro” oppure riservata a miliardari annoiati, ora sono in molti a capire che a volte il tempo è più prezioso dei soldi e che con un piccolo abbassamento dello standard di vita e di consumo, si può vivere più felici. 
   Il lockdown ci ha fatto molto riflettere per fortuna su come fermare quella che gli inglesi chiamano la diabolica “rat race”. Come si suole dire: Chi ha soldi non ha tempo, chi ha tempo non ha soldi. A voi la scelta, basta non pentirsi troppo tardi.
Claude Monet, 1885 - Foto del Museo Marmottan Monet di Parigi 
   Il teorico del downshifting in Italia è stato Simone Perotti, scrittore marinaio, che nel 2008 ha lasciato la sua carriera da manager. Il suo libro “Adesso Basta” mi ha ispirato e incoraggiato. Perché alla fine penso ci voglia anche coraggio e un pizzico di follia a mollare tutto e trasferirsi in barca. 
NON SONO RICCA E NON SONO PENSIONATA
   Tuttavia le mie motivazioni sono differenti. Io non ho lasciato nessuna carriera, ma lavori precari malpagati. Il mio mestiere, il giornalismo, è una passione, la passione della mia vita. “Avrei fatto il giornalista anche gratis: meno male che i miei editori non se ne sono mai accorti” era il ritornello di Enzo Biagi (1920-2007). Per Luigi Barzini junior invece “era sempre meglio che lavorare”. Ho iniziato a fare la giornalista a 17 anni e ho smesso soltanto quando mi sono accorta che il mio mestiere era sparito o meglio era così tanto cambiato che non lo riconoscevo più. La rete e i social hanno fatto sì che chiunque potesse diventare un reporter da ogni angolo del mondo e trasmettere immagini in diretta facendo impallidire anche la Cnn che è stata pioniere delle live news. In Italia si preferisce tradurre i pezzi di testate straniere (vedi il successo de L’Internazionale) e non c’è più posto per corrispondenti o inviati dall'estero. Se non c'erano catastrofi immani, tipo terremoti o stragi terroristiche, il mio lavoro da free lance all’ANSA di New Delhi era davanti a uno schermo. Quindi aggiungo io: “L’avrei fatto gratis se era ancora un lavoro da giornalista”.
   Insomma, per finire lo sfogo, io arrivo da una vita di briciole, per cui stare in India era l’unica scelta perché in Italia (o in Occidente) non avrai mai saputo mantenermi con le collaborazioni giornalistiche.   
Quindi non ho lasciato nessun posto fisso e tanto meno una carriera. Anzi mi piacerebbe ancora lavorare, ho risposto a molti annunci e inviato in giro il mio cv. Ma ormai il mercato è saturo e inflazionato.
PERCHÉ LE CANARIE
    Ci sono arrivata per caso rispondendo a un annuncio su Findacrew, dove uno skipper austriaco cercava equipaggio. Avevo deciso di praticare la vela dopo aver fatto un corso alla scuola di Caprera, in Sardegna. In India non ne avevo la possibilità, è praticamente inesistente come sport. Non ero mai stata alle Canarie e pensavo come molti che l’arcipelago spagnolo fosse un buen retiro per anziani e comunque molto turistico, lontano quindi dai mie ideali di viaggiatrice.  
   Tuttavia ho dovuto ricredermi perché dal punto di vista strettamente velistico le Canarie sono perfette. Da Cristoforo Colombo in poi tutti i grandi navigatori sono passati da qui. Perché è l’ultimo bastione prima di attraversare l’oceano Atlantico. La piccola isola di Hierro nell'antichità era il meridiano zero, le invalicabili colonne di Ercole, dopo le quali “hic sunt leones”, in realtà non erano a Gibilterra ma qui alle Canarie.
   Quindi mi sono ritrovata in un ambiente marinaro estremamente stimolante, molto diverso da quello italiano e in generale del Mediterraneo. Non voglio generalizzare ma penso che in Italia la barca a vela sia ancora considerata un lusso da praticare insieme al golf o all'equitazione. Le barche sono dei giocattoli che stanno nelle marine. Si esce ai weekend con gli amici, qualche veleggiata d’estate oppure per qualche regata, ma la barca non è vista come un luogo dove vivere per lunghi tempi magari con la famiglia. Lo spirito di avventura che ho riscontrato tra i francesi, tedeschi o britannici, che arrivano qui con bambini e animali domestici a bordo delle loro barche (e alcuni ci stanno per anni, altri attraversano l’Atlantico e vanno ai Caraibi) non è lo stesso che tra gli italiani. Ne ho incontrati davvero pochi che viaggiano a vela.
   Quindi è naturale aver trovato qui alle Canarie barche attrezzate per viverci (per esempio con pannelli solari, cucina, ecc) e per fare nomadismo velico. La mia barca Maneki è un Jeanneau Folie Douce del 1974, nove metri per tre, vecchiotta, gli interni sono un po’ fatiscenti, le vele rattoppate, il boma un po’ ammaccato, un po’ di osmosi latente. Non è certo di lusso, è come un alloggio di una casa popolare. Ma è quanto potevo permettermi per le mie economie e anche per le mie abilità di principiante skipper. E poi il vantaggio delle Canarie è il clima, l’eterna estate e anche l’avere a disposizione un mare calmo (nel sud delle isole) e tante baie tranquille dove stare alla fonda. Se poi uno vuole provare il brivido di un mare Forza 7 basta che attraversi lo stretto tra Gran Canaria e Tenerife dove il divertimento è assicurato grazie alle famigerate “accelerazioni” che si formano tra i massicci montagnosi delle due isole.
PERCHÉ DA SOLA
   Mi piace viaggiare da sola perché mi sento più libera, senza ormeggi che mi legano al mio mondo e anche aperta a fare nuove conoscenze. Siccome per me la barca è un mezzo di trasporto ne consegue che sono una solitaria. Non è un dogma, quando serve imbarco equipaggio, però sono orgogliosa di portare la mia piccola Maneki da sola e da un anno a questa parte anche di fare le traversate tra le isole. Prossimo passo sarà di allontanarmi un po’ più in la, magari l’isola portoghese di Madeira a nord o l’arcipelago di Capoverde a sud, o il Marocco, a est. Lo scorso anno ho fatto con uno skipper e la sua barca di 11 metri la traversata dell'Atlantico fino alle Antille, conosco quindi la strada anche per i Caraibi.
QUANTO MI COSTA
Ecco la risposta che tutti cercano. Presto detto, la barca mi è costata 13 mila euro più 500 euro di riparazione del motore che perdeva olio dai cilindri. Era pronta per vivere, ci ho trovato tutto, dai piatti e posate alla canoa che uso per andare a riva quando sono all'ancora. Era dotata di tutti gli strumenti, il pilota automatico, scialuppa di salvataggio, pannelli solari, cucina ad alcol e frigo (solo 220v, quindi lo posso usare solo quando sono in porto). Non ha pero' il salpa ancora, quindi faccio un po' fatica a salpare dagli ancoraggi.
   Da quando l’ho comprata nel 2017 ho fatto carena un paio di volte (500 euro una volta perché’ ho passato io l’antivegetativo, 800 euro la seconda volta comprese la riparazione alla boccola dell'elica). Ho fatto fare dei cuscini per il pozzetto (400 euro), una catena nuova (350 euro), batterie nuove (300 euro), un secondo blocco di carrucole e scotte per la randa (250 euro). Cambiare olio e filtri costa meno di una macchina di sicuro. Ogni tanto si rompe qualcosa, ma come in tutte le case. Quello che posso faccio io, così risparmio. Poi ci sono i corsi, finora ho speso circa 3 mila euro e sto terminando il Coastal Yacktmaster RYA).
Le marine: quando ero a Mogan (Gran Canaria), pagavo un posto privato (senza elettricità e davanti a un muro) a circa 7 euro al giorno. Negli ultimi 9 mesi non ho più un contratto di “affitto” in marina. La maggior parte del tempo sono all'ancora. Se vado in porto, quando c’è maltempo, mi costa tra i 9 e i 15 euro al giorno, dipende dove sono e per quanto tempo.
Come si fa? Innanzitutto bisogna essere in buona salute (e quindi ringraziare Dio ogni giorno) e ovviamente non avere persone a carico. Poi basta abbassare un po’ il tenore di vita, cosa a cui mi sono già abituata in India. Non posseggo un auto, non ho molte spese fisse a parte il wifi (45 al mese). Ho appena disdetto la mutua privata perché non me la posso più permettere. Sono iscritta nel registro dei residenti all'estero Aire, quindi non ho sanità in Italia, mi sembra però che esista una tessera europea, per le emergenze.
   I miei consumi sono ridotti al minimo non solo per risparmiare ma anche perché non voglio più inquinare. Sto scrivendo un manifesto, che ho chiamato il “Pensiero verde” di come si può cominciare a vivere in modo più’ spartano, consumare di meno e riciclare di più, scoprire che siamo circondati da un mare di cose inutili e purtroppo anche da un mare di plastica. Sono convinta che solo comportamento individuale può portare a un cambiamento globale. “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo” diceva il Mahatma Gandhi. Ma questo sarà l’argomento dei mio prossimo blog.