Velisti solitari/ Cosi ho 'insonorizzato' Maneki

Santa Cruz de Tenerife, 2 novembre 2018

   Si dice che il trasloco sia una delle principali fonti di stress nella vita. Per chi ha una barca a vela invece lo è il disalberamento, quando si rimuove l’albero maestro dalla coperta con tutto il sartiame per fare lavori di manutenzione. Ovviamente c’è anche un altro tipo di disalberamento, quello in navigazione, ma questo è una vera tragedia.
   Innanzitutto è importante affidarsi alle persone giuste, non è un lavoro fai-da-te, ci vuole una gru semovente che arrivi fino a una banchina, possibilmente assenza di vento e di onde e soprattutto qualcuno che sappia come smontare boma e sartie in modo corretto.
   Ho fatto questo lavoro a Santa Cruz di Tenerife con la ditta Spinnaker, che ha una buona reputazione tra i velisti alle Canarie. L’albero della mia Maneki, 10 metri, è ‘piccolo’ rispetto alla media dei velieri e catamarani che si vedono qui, soprattutto ora che è la stagione della traversata dell’Atlantico, però richiede una certa attenzione in quanto ha oltre 40 anni e penso non sia mai stato smontato. 
   La mia intenzione era di cambiare le sartie rettificando anche la lunghezza del nuovo strallo che avevo sostituito ad aprile a Gran Canaria in seguito a uno sciagurato incidente con il travel lift nella rimessa di Puerto di Mogan.
   Inoltre desideravo fortemente eliminare il fastidiosissimo “clang clang” dentro all’albero causato dai cavi elettrici e dell’antenna che sbattevano sul metallo quando navigavo e quando ero all’ancora. Il rumore all’interno della cabina di prua dove dormo era a volte veramente insopportabile. Non penso di essere la sola ad avere avuto un albero rumoroso. Quando sono all’ancora mi capita di udire gli stessi “clang clang’ che non sono provocati dalle drizze che sbattono, ma da cavi che penzolano dentro l’albero maestro.

    Ho avuto la fortuna inoltre di essere nella marina di Puerto Chico, nella Darsena Pesquera di Tenerife, dove c’è anche il varadero (cantiere navale) della ditta Spinnaker che ha fatto il lavoro. Hanno una officina nel cantiere e tutto quello che serve sul posto. E se manca qualcosa come nel mio caso, i giunti a T delle sartie che si agganciano all’albero, hanno un sistema rapido di consegna dal ‘continente’. I miei giunti, per il mio Janneau, sono arrivati dalla Francia. 
   Lo stress è quindi più psicologico, l’istante in cui il piede dell’albero si stacca contemporaneamente all’avvolgifiocco (io avevo il compito di tenere il furlex dal tamburo durante l’inclinazione verso la posizione orizzontale) è abbastanza traumatico, ci si rilassa soltanto quando ritorna al suo posto una settimana dopo.
   Una volta disalberato ho riportato Maneki in marina e poi sono subito ritornata al ‘capezzale’ dell’albero maestro che nel frattempo era stato trasportato su due carrelli all’interno del cantiere dove era stato separato dall’avvolgifiocco.
   Il primo lavoro è stato quello di smontare il piede (trapanando i rivetti). Dentro c’era una grande quantità di sporcizia (chissà come c’era finita) e polistirolo. Ho scoperto infatti che in origine l’albero di Maneki era rivestito di polistirolo, un ottima idea per insonorizzarlo, che però con gli anni si era sbriciolato. In un momento di disperazione, non riuscendo a dormire, avevo pensato io stessa di “inserire” del polistirolo per fermare il “clang clang”. Ma l’unico buchetto a disposizione era quello dove c’è la spinetta di blocco dei garrocci nell’inferitura della randa. Avevo provato addirittura con un palloncino, dopo aver letto sul web, che si poteva infilare il palloncino sgonfio dentro il buchino e poi gonfiarlo in modo che bloccasse i cavi penzolanti. Ma il problema è che il ‘clang clang’ era a livello delle crocette, probabilmente quando i fili urtavano la barra orizzontale passante dentro l’albero maestro che regge le crocette. 
   Insomma alla fine questa è stata la soluzione inventata da Diego, il ‘rigger’ di Spinnaker: un tubo di pvc da fissare nella parte opposta dell’inferitoia dove far passare i quattro fili, luce in testa d’albero, luce di coperta, windex e antenna VHF. L’unico problema era come fissarlo all’interno. La soluzione è stata con dei lunghi, esattamente sei, ‘sparati’ dall’esterno dopo aver cercato di appiattire il tubo appesantendolo dall’interno infilando un paio di sartie di acciaio e in metà “afferrandolo attraverso i buchini del portalampade della luce di coperta. Non è stato facile ma dopo alcune ore di lavoro, il tubo era saldamente piazzato all’interno dell’albero.

   Dimenticavo di dire che prima di posare il tubo abbiamo ripulito l’interno del polistirolo con aria compressa e un cavo flessibile. Nel frattempo è stato necessario rimuovere anche la testa d’albero. Il ‘palo’, come lo chiamano gli spagnoli, a questo punto era nudo come un verme. Ho potuto constatare inoltre che anche all’interno è anodizzato, di ottima qualita’ quindi come lo sono di solito le vecchie barche.
   A proposito di anodizzazione, ho cercato con ogni prodotto chimico e non, di rimuovere le orribili strisce nere e le chiazze grigiastre, ma invano. Un prodotto trovato in ferramenta, specifico per l’alluminio non anodizzato, lo “sbiancava” letteralmente e la cosa non mi sarebbe dispiaciuta. Salvo che rimuoveva l’anodizzazione dorata (orrenda lo so) che però costituisce una protezione nel tempo contro l’ossidazione. Rischiavo di fare danni insomma, quindi mi sono limitata a una bella insaponatura e a lucidare le staffe che servono da “gradini” fissi per arrampicarsi in cima da soli quando serve.
   Altra sorpresa è stata di trovare un paio di bozzelli a scomparsa, usati per le drizze, completamente bloccati e addirittura “fusi” con il resto del metallo della testa. Dopo un paio di giorni di accanimenti, Diego è intervenuto con un flessibile per segare il perno. Per fortuna aveva dei bozzelli di seconda mano che sembravano fatti apposta per il mio albero. 
   La notte precedente all’alberatura non ho chiuso occhio, chissà se le nuove sartie vanno bene, se lo strallo non è stato accorciato troppo, se il furlex è stato rimontato bene. Insomma tensione al massimo, e forse ingiustificata (ma le ansie del navigatore solitario sono sempre amplificate), poi quando il piede d’albero si è incastrato di nuovo nel vano sulla coperta e lo strallo è stato attaccato contemporaneamente ai due paterazzi dietro e due sartie laterali, ho tirato un respiro di sollievo. Maneki è tornata a essere una barca a vela, ora completamente insonorizzata.

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