New Delhi, 4 settembre 2017
Tre anni fa, appena eletto, il premier Narendra Modi aveva promesso degli ‘acchhe din’ per l’India. Ma il 15 agosto nel suo discorso alla nazione nel giorno dell’Indipendenza aveva corretto un po’ il tiro esortando a creare una ‘nuova India entro il 2022’.
Ma se le cose vanno come stanno andando... anche questo nuovo traguardo potrebbe essere difficilmente raggiungibile. E la colpa questa volta non è la congiuntura internazionale, che - anzi - si sta risollevando seppur lentamente e nella direzione di una ‘jobless growth’. Sembra invece che sia lo stesso governo a suicidarsi, a scavarsi letteralmente la fossa, con una serie di manovre economiche che forse sono troppo in anticipo per un’India che è ancora per il 90% dominata dal settore informale. Insomma non si può immaginare un’economia ‘cashless’, digitalizzata e senza corruzione da un giorno all’altro con un tocco di bacchetta magica. Ovvio che gli ingranaggi si imballano. Esattamente come sta succedendo.
Tre segnali che mostrano il dimostrare il hara-kiri del governo Modi:
Pil a picco
Nel secondo trimestre la crescita del Pil è piombato sotto la soglia del 6% (5,7% per la precisione da aprile a giugno), il peggiore risultato degli ultimi anni. L’India è tornata al seguito del dragone cinese. Dietro il brusco rallentamento c’è la decisione del novembre 2016 di mettere fuori corso le banconote da 500 e 1000 rupie e l’introduzione dell’Iva il primo luglio. Si è sempre detto che il 20% dell’economia indiana era in ‘nero’. E quindi questo era previsto. Ma c’è un piccolo particolare: che al macero sono arrivate il 99% delle banconote fuori corso secondo un rapporto della Banca centrale indiana RBI. Ciò significa che il sospetto denaro sporco in circolazione si è ripulito rendendo quindi inefficace l’enorme esercizio costato una fortuna allo Stato e anche alla popolazione che per settimane ha dovuto sopportare la penuria di cash e le lunghe file davanti a banche e bancomat.
La chiusura dei McDonalds
Per una disputa con il partner indiano che ha il franchising, 43 McDonalds a New Delhi hanno chiuso i battenti. Tutti i 169 fast food esistenti nel nord e nord est dell’India potrebbero chiudere presto.
Non sono entrata nei dettagli della lite che dura da anni e che ora è nei tribunali, ma ovvio che c’è qualche problema in questo Paese se anche un colosso come un McDonalds non riesce a stare sul mercato. Curiosamente la notizia della chiusura però è passata abbastanza inosservata, anzi è stata accolta persino con una certa soddisfazione...del tipo, non abbiamo bisogno del ‘junk food’ degli yenkee, abbiamo già i nostri.
Tre anni fa, appena eletto, il premier Narendra Modi aveva promesso degli ‘acchhe din’ per l’India. Ma il 15 agosto nel suo discorso alla nazione nel giorno dell’Indipendenza aveva corretto un po’ il tiro esortando a creare una ‘nuova India entro il 2022’.
Ma se le cose vanno come stanno andando... anche questo nuovo traguardo potrebbe essere difficilmente raggiungibile. E la colpa questa volta non è la congiuntura internazionale, che - anzi - si sta risollevando seppur lentamente e nella direzione di una ‘jobless growth’. Sembra invece che sia lo stesso governo a suicidarsi, a scavarsi letteralmente la fossa, con una serie di manovre economiche che forse sono troppo in anticipo per un’India che è ancora per il 90% dominata dal settore informale. Insomma non si può immaginare un’economia ‘cashless’, digitalizzata e senza corruzione da un giorno all’altro con un tocco di bacchetta magica. Ovvio che gli ingranaggi si imballano. Esattamente come sta succedendo.
Tre segnali che mostrano il dimostrare il hara-kiri del governo Modi:
Pil a picco
Nel secondo trimestre la crescita del Pil è piombato sotto la soglia del 6% (5,7% per la precisione da aprile a giugno), il peggiore risultato degli ultimi anni. L’India è tornata al seguito del dragone cinese. Dietro il brusco rallentamento c’è la decisione del novembre 2016 di mettere fuori corso le banconote da 500 e 1000 rupie e l’introduzione dell’Iva il primo luglio. Si è sempre detto che il 20% dell’economia indiana era in ‘nero’. E quindi questo era previsto. Ma c’è un piccolo particolare: che al macero sono arrivate il 99% delle banconote fuori corso secondo un rapporto della Banca centrale indiana RBI. Ciò significa che il sospetto denaro sporco in circolazione si è ripulito rendendo quindi inefficace l’enorme esercizio costato una fortuna allo Stato e anche alla popolazione che per settimane ha dovuto sopportare la penuria di cash e le lunghe file davanti a banche e bancomat.
La chiusura dei McDonalds
Per una disputa con il partner indiano che ha il franchising, 43 McDonalds a New Delhi hanno chiuso i battenti. Tutti i 169 fast food esistenti nel nord e nord est dell’India potrebbero chiudere presto.
Non sono entrata nei dettagli della lite che dura da anni e che ora è nei tribunali, ma ovvio che c’è qualche problema in questo Paese se anche un colosso come un McDonalds non riesce a stare sul mercato. Curiosamente la notizia della chiusura però è passata abbastanza inosservata, anzi è stata accolta persino con una certa soddisfazione...del tipo, non abbiamo bisogno del ‘junk food’ degli yenkee, abbiamo già i nostri.
Multa di 5 miliardi di dollari alla cinese Hutchinson
Il Fisco indiano è tornato alla carica sulle tasse da pagare per l’acquisto da parte di Vodafone della filiale indiana di Hutchinson dieci anni fa (quando sono arrivata in India avevo infatti una sim card Hutc, che poi è diventata Vodafone). Si tratta di un conteggio totale di 320 miliardi di rupie, tra cui 164 miliardi di interessi e 79 miliardi di multa. Una cosa inverosimile, terrorismo fiscale, soprattutto perché (dicono) è basata su una legge entrata in vigore dopo l'acquisizione, quindi la tassa sarebbe retroattiva. Il Fisco aveva già tentato di multare Vodafone senza successo, ora se la prende con l’allora venditore. Io non me ne intendo di questioni fiscali…ma pare che l’accordo era avvenuto tra due società straniere con sede all’estero e quindi l’India non avrebbe diritto a tassare la transazione del 2007 all'epoca del valore di 11 miliardi.
I casi McDonald e Vodafone sono emblematici per capire quanto può essere insidioso il terreno per un investitore straniero nonostante i recenti incentivi del programma Make in India.
Un po’ di tempo fa il governo indiano ha dichiarato di voler far avanzare l'India di ben 40 posti entro il 2020 nella classifica della Banca Mondiale dei Paesi dove è più facile investire (Doing Business survey). Adesso è al 130esimo posto e l’anno scorso è salita di un gradino. Un target decisamente ambizioso.
Il Fisco indiano è tornato alla carica sulle tasse da pagare per l’acquisto da parte di Vodafone della filiale indiana di Hutchinson dieci anni fa (quando sono arrivata in India avevo infatti una sim card Hutc, che poi è diventata Vodafone). Si tratta di un conteggio totale di 320 miliardi di rupie, tra cui 164 miliardi di interessi e 79 miliardi di multa. Una cosa inverosimile, terrorismo fiscale, soprattutto perché (dicono) è basata su una legge entrata in vigore dopo l'acquisizione, quindi la tassa sarebbe retroattiva. Il Fisco aveva già tentato di multare Vodafone senza successo, ora se la prende con l’allora venditore. Io non me ne intendo di questioni fiscali…ma pare che l’accordo era avvenuto tra due società straniere con sede all’estero e quindi l’India non avrebbe diritto a tassare la transazione del 2007 all'epoca del valore di 11 miliardi.
I casi McDonald e Vodafone sono emblematici per capire quanto può essere insidioso il terreno per un investitore straniero nonostante i recenti incentivi del programma Make in India.
Un po’ di tempo fa il governo indiano ha dichiarato di voler far avanzare l'India di ben 40 posti entro il 2020 nella classifica della Banca Mondiale dei Paesi dove è più facile investire (Doing Business survey). Adesso è al 130esimo posto e l’anno scorso è salita di un gradino. Un target decisamente ambizioso.
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