New Delhi, 9 marzo 2017
Sono andata a vedere 'Lion', il film del debuttante australiano Garth Davis, basato su una storia vera, quella di Saroo, un trovatello indiano adottato nel 1987 da una coppia in Tasmania che da adulto si mette a cercare la sua famiglia di origine. Nonostante i pareri positivi quasi unanimi dei critici cinematografici, a me non é piaciuto per nulla.
A parte la straordinaria interpretazione del piccolo Sunny Pawar, prelevato da uno slum di Mumbai, l'ho trovato molto lento e pieno di stereotipi sull'India. La prima parte, quando Saroo arriva a Calcutta dopo essersi addormentato su una carrozza di un treno, descrive un po' forzatamente la vita degli orfani in India insistendo in particolare sugli abusi sessuali. Magari le condizioni degli orfanotrofi non sono rosee, soprattutto 30 anni fa al tempo della storia, ma mi sembra esagerato mostrare tutti quanti come degli 'orchi'. Che banalità la scena in cui un poliziotto, che sembra uscito da un filmetto di Bollywood, assiste passivamente alla 'cattura' di alcuni bambini alla stazione da parte dei 'cattivi'. Inverosimile è anche il modo con cui avviene l'adozione, Saroo viene mandato a una famiglia australiana che non ha mai visto.
Ho l'impressione che il regista non abbia mai messo piede in India. Lo si vede da alcuni particolari, per esempio quando Saroo beve una bibita appoggiando le labbra alla bottiglia, nessun indiano lo fa, tutti bevono alla garganella.
Nella seconda parte, invece quella in Tasmania, compare invece Dev Patel (famoso per Slumdog Millionaire), in versione sexy, che a un certo punto ha una crisi di identità. Soffre di allucinazioni, continua a rivedere la madre in una cava di pietra e il fratello maggiore che rubava il carbone per comprare il latte. Nella sua mente sono impressi alcuni particolari della stazione dove di notte è salito su quel maledetto treno che lo allontanato dal suo villaggio.
Ma anche qui la narrazione è molto lenta e sofferta. Viene voglia di spingere il tasto 'avanti' del videoregistratore. Entra poi in scena Google Map (avrà sponsorizzato la produzione?) che di fatto gli permette di individuare il suo luogo di origine. A quanto pare, anche nella storia vera la ricerca viene fatta on line. Quindi capisco che è difficile raccontarla in un film.
Il finale è disastro: quando Dev Patel/Saroo finalmente incontra la madre in una povera casa di fango, parte un applauso di tutto il villaggio. Sembra una puntata di Carramba Che Sorpresa. A questo proposito, leggo qui che la vera madre, Munshi, continua a fare la sua misera vita anche dopo la visita del figlio nel 2012.
Insomma sono rimasta fino alla fine soltanto perché qualche settimana fa in treno sono passata nella stessa zona del Madhya Pradesh dove abitava Saroo e anche nella stazione di Kandwa dove è iniziata la sua odissea. Nelle prime immagini si vede infatti un pinnacolo di pietra su un monte vicino a Nashik (Maharashtra). Lo avevo fotografato dal finestrino del treno, è soprannominato Thumbs Up Pinnacle.
Sono andata a vedere 'Lion', il film del debuttante australiano Garth Davis, basato su una storia vera, quella di Saroo, un trovatello indiano adottato nel 1987 da una coppia in Tasmania che da adulto si mette a cercare la sua famiglia di origine. Nonostante i pareri positivi quasi unanimi dei critici cinematografici, a me non é piaciuto per nulla.
A parte la straordinaria interpretazione del piccolo Sunny Pawar, prelevato da uno slum di Mumbai, l'ho trovato molto lento e pieno di stereotipi sull'India. La prima parte, quando Saroo arriva a Calcutta dopo essersi addormentato su una carrozza di un treno, descrive un po' forzatamente la vita degli orfani in India insistendo in particolare sugli abusi sessuali. Magari le condizioni degli orfanotrofi non sono rosee, soprattutto 30 anni fa al tempo della storia, ma mi sembra esagerato mostrare tutti quanti come degli 'orchi'. Che banalità la scena in cui un poliziotto, che sembra uscito da un filmetto di Bollywood, assiste passivamente alla 'cattura' di alcuni bambini alla stazione da parte dei 'cattivi'. Inverosimile è anche il modo con cui avviene l'adozione, Saroo viene mandato a una famiglia australiana che non ha mai visto.
Ho l'impressione che il regista non abbia mai messo piede in India. Lo si vede da alcuni particolari, per esempio quando Saroo beve una bibita appoggiando le labbra alla bottiglia, nessun indiano lo fa, tutti bevono alla garganella.
Nella seconda parte, invece quella in Tasmania, compare invece Dev Patel (famoso per Slumdog Millionaire), in versione sexy, che a un certo punto ha una crisi di identità. Soffre di allucinazioni, continua a rivedere la madre in una cava di pietra e il fratello maggiore che rubava il carbone per comprare il latte. Nella sua mente sono impressi alcuni particolari della stazione dove di notte è salito su quel maledetto treno che lo allontanato dal suo villaggio.
Ma anche qui la narrazione è molto lenta e sofferta. Viene voglia di spingere il tasto 'avanti' del videoregistratore. Entra poi in scena Google Map (avrà sponsorizzato la produzione?) che di fatto gli permette di individuare il suo luogo di origine. A quanto pare, anche nella storia vera la ricerca viene fatta on line. Quindi capisco che è difficile raccontarla in un film.
Il finale è disastro: quando Dev Patel/Saroo finalmente incontra la madre in una povera casa di fango, parte un applauso di tutto il villaggio. Sembra una puntata di Carramba Che Sorpresa. A questo proposito, leggo qui che la vera madre, Munshi, continua a fare la sua misera vita anche dopo la visita del figlio nel 2012.
Insomma sono rimasta fino alla fine soltanto perché qualche settimana fa in treno sono passata nella stessa zona del Madhya Pradesh dove abitava Saroo e anche nella stazione di Kandwa dove è iniziata la sua odissea. Nelle prime immagini si vede infatti un pinnacolo di pietra su un monte vicino a Nashik (Maharashtra). Lo avevo fotografato dal finestrino del treno, è soprannominato Thumbs Up Pinnacle.
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