A EST DELLE INDIE/ Thailandia in lutto, ovunque foto di re Bhumibol

Chiang Mai, 27 ottobre 2016 

   Sono rientrata in Thailandia (da Laos) dopo una ventina di settimane e mi ritrovo l`intero Paese a lutto per la scomparsa di re Bhumibol, il sovrano piu` longevo da 70 anni sul trono dell`ex regno di Siam. Quando ero a Bangkok l`88enne monarca aveva avuto una crisi, ma i medici avevano detto che le sue condizioni si erano `stabilizzate`. Poi il 13 ottobre quando ero gia`in Cambogia ho letto la notizia della morte.
  Il lutto, che mi sembra durera` un anno, e` visibile ovunque davanti ai palazzi pubblici, nelle pagode, scuole e perfino negli schermi dei bancomat.  Immagini del re, quasi tutte risalenti a decenni fa, sovrastano i palazzi e le strade. Sono dei grandi ritratti con la cornice dorata e ornati di drappi bianchi e neri.  Appena si entra alla frontiera di Nong Khai, dopo il ponte dell`amicizia Thai Lao sul Mekong, si vede subito un ritratto di Bhumibol.  Anche il villaggio piu` isolato ha il suo tabernacolo con l`immagine del sovrano a lutto.  A  Chiang Mai, che e` l`equivalente di Bangkok per inquinamento e traffico, non si suona piu` nei locali. Mi sembra perfino ci siano meno turisti.
   Su un autobus locale (sono riuscita ad evitare i bus turistici) ho chiesto a un passeggero cosa ne pensava della successione che tocca al figlio, il principe Maha Vajralongkorn, soprannominato il Playboy Prince.  Raramente i thailandesi esprimono opinioni politiche anche perche` rischiano la galera.  Invece quando ho citato l`erede al trono, ha fatto una smorfia di disgusto. Nessuno vuole il `principe scandalo` infatti e per questo la successione e` stata sospesa. 

A EST DELLE INDIE/ Laos- In battello da Luang Prabang a Huay Xai,

`The topography of the territory through which the Mekong flows gives the river its paradoxical character, since unlike many of the world`s other mighty rivers it has served to divide rather than unite the countries which lie along it` . `The Mekong. Turbolent past, uncertain future` di Milton Osborne
Luang Prabang-Pakbeng, 27 ottobre 2016 
    Il molo dove prendere la slow boat per Pakbeng-Huay xai e' a sette km dalla citta' di Luang Prabang, praticamente in mezzo al nulla. Prima era era nel centro storico, vicino al palazzo reale, poi lo hanno spostato perche’ – mi hanno detto – creava troppa confusione.

    C'e' un ufficetto della compagnia di navigazione pubblica con gli orari e le tariffe delle slow boat e delle ‘speed boat’ che ci mettono meta’ del tempo, ma sono piu’ pericolose. Poi si scende giu' dalla sponda di sabbia dove sono ormeggiate le barche, specie di lunghe house boat di legno lucido, con delle poltrone reclinabili da autobus. Per fortuna ci sono pochi passeggeri, cosi' che io ho un tavolino intero a disposizione e quattro posti.
    Quando saliamo ci danno un sacchetto di plastica dove riporre le scarpe. Il pilota siede su uno sgabello e timona di fianco, sembra una posizione scomoda, ma non puo` fare altrimenti, non c`e` posto per le sue gambe. Sono in due e si alterneranno per tutto il viaggio. Sulla prua, davanti alla cabina di pilotaggio, c'e' un terrazzino con delle piante grasse fiorite. A poppa invece c'e' il motore, i bagni e penso l'abitazione della famiglia del capitano. Questi battelli sono delle vere e proprie `house boat`.
    Questo tratto di Mekong, che sale fino al confine con la Thailandia e piu’ su verso il Myanmar fino alla Cina, si presenta subito un fiume avventuroso. E' pieno di rocce, alcune che sporgono appena. Per segnalare i pericoli ci hanno costruito sopra delle torrette di mattoni. Le sponde sono coperte da una rigogliosa foresta tropicale, mi chiedo se ci abita qualcuno. Molti alberi sono ricoperti da altra vegetazione. Dai rami pendono delle liane, un po’ qua e la’ spiccano le foglie verde chiaro delle piante di banane. Ogni tanto c'e' una chiazza di roccia chiara, una parete liscia dove non cresce nulla.
 

A EST DELLE INDIE/Ingresso in Laos tra karaoke e 'lao lao'

Muang Khuan (Laos), 26 ottobre 2016
   Sono entrata in Laos da Dien Bien Phu, l’ultima citta’ o ovest del Vietnam, passata alla storia per la sconfitta militare dei francesi nel 1954. Da li’ la frontiera e’ solo a poco piu’ di 30 km ma il paesaggio cambia in maniera radicale. Il minibus che ho preso ha iniziato a inerpicarsi tornante dopo tornate in una vallata ancora immersa dalla bruma mattuttina. Non me ne ero accorta arrivando con uno sleeper bus da Hanoi che all’orizzonte c’erano le montagne.
    Il valico di Tay Trang e’ una casetta dove uno prende il visto (35 dollari per gli europei) e paga una serie di ‘commissioni’ in valuta locale (kip) di alcuni dollari. L’ultima di 20.000 kip e’ per lo ‘stamp’. Ormai ho capito che alle frontiere e’ cosi’, ma almeno qui non sono rapaci come alla frontiera thailandese-cambogiana di Poipet, quella che ho attraversato per andare a Siem Reap. Ma la cosa buffa e' che sulla domanda di visto devo  indicare anche la 'razza'. Metto: 'white'.
   La mia prima sensazione e’ di essere in Nepal: i villaggi con le casette in legno, i bufali, galline e anatre che svolazzano nelle strade, il verde lussureggiante della foresta.
    Il villaggio di Muang Khuan, il primo centro abitato che si trova dopo due ore di bus dalla frontiera, ti riporta indietro nel tempo. Ho trovato un accogliente guesthouse con una finestra panoramica sul fiume Nam Ou, un affluente del Mekong, che domani voglio scendere per raggiungere Luang Prabang, la capitale storica del Laos. Quando sono arrivata, in diversi bar e ristorante, c’erano dei karaoke in corso che sono andati avanti fino a sera. Io pensavo fosse solo in Giappone, invece il karaoke e’ popolare passatempo anche qui. Forse e’ un modo per rilassarsi. Leggo che i laotiani amano divertirsi e che la musica popolare e’ onnipresente. Il problema e’ che a cantare a squarciagola sono spesso ubriachi...
    Il proprietario della guesthouse alla sera ha preparato dei piatti locali per cena per me e per un gruppo di ragazzi francesi (i turisti francesi sono in maggioranza in Indocina, forse hanno nostalgia delle colonie...). E poi ha offerta a tutti i ‘falang’ (come chiamano gli stranieri qui) diversi bicchierini di “lao lao”, un distillato di riso, che a quanto pare e’ l’immancabile compagno di serate per gli uomini laotiani.

A EST DELLE INDIE/ Hanoi, le baguette e la tartaruga imbalsamata

Hanoi, 25 ottobre 2016

    Mi sono innamorata del quartiere vecchio di Hanoi. Forse mi ricordano i bazar dell'India, un caos ragionato dove ognuno ha un suo posto, dal venditore di cocchi al calzolaio, dal riscio' a pedali al meccanico. Pullula di vita autentica, non da turismo usa e getta come a Saigon. Ci sono alcuni angoli di assoluta pace, ai tavoli di un bistro' che sembra di essere a Parigi, oppure immersi nella calca del mercatino notturno. L'ho girato in lungo e in largo gustando ogni tanto un 'bun cha', una zuppetta con dentro della gustosissima carne di manzo alla griglia. La cucina vietnamita mi e' completamente misteriosa e ogni volta e' una impresa ordinare un piatto.   Per fortuna i francesi hanno lasciato una grossa eredita', la baguette, che si chiama "bhan mi" e che viene farcita con carne di maiale o pollo, insalata e maionese. Un panino con i fiocchi per gi standard asiatici che puoi portarti in treno o in bus. Mi ha salvato molte volte dalla fame.

   Ad Hanoi sono andata anche a vedere il mausoleo di Ho Chi Min, lo "zio Ho"come lo chiamo qui che compare su tutte le banconote e in tutti gli uffici pubblici. Il suo corpo e'imbalsamato, nella migliore tradizione sovietica. Ma la 'mummia' di zio Ho non c'e' ora perche' per tre mesi all'anno viene sottoposta a 'manutenzione', almeno cosi' ho capito. Il gigantesco mausoleo e' di fatti chiuso, mentre si puo' visitare il palazzo che e' immerso in uno splendido giardino tropicale.
   Presto invece si potra' ammirare in un museo la famosissima tartaruga sacra di Hanoi, Cu Rua, che viveva nel leggendario laghetto di Hoan Kiem e che era considerata una sorta di mascotte della nazione.  L'animale, che appartiene a una specie rarissima di cui rimangono solo quattro esemplari al mondo, e' stato trovato morto a gennaio proprio quando il partito doveva nominare un nuovo governo. Leggo che anche Cu Rua sara' imbalsamata come Ho Chi Min.


A EST DELLE INDIE/ La Bbc e' censurata in Vietnam

Hanoi, 23 ottobre 2016
    Da quando sono in Vietnam non riesco piu’ ad aprire il sito internet della Bbc. Oggi ho scoperto l’arcano. BBC News, in lingua vietnamita ma anche in inglese, e’ da tempo censurata dal governo per il tipo di informazione indipendente. Leggo che lo chiamano il ‘Bambu’ Firewall’. Il governo di Hanoi fa infatti un monitoraggio costante della rete e quello che non piace e’ bloccato. Nel caso dei siti pornografici mi sembra un ottima cosa, ma negli altri casi e’ una palese violazione della liberta’ di stampa. E di fatti leggo che il Vietnam e’ criticato da Reporters Senza Frontiere per la repressione di blogger indipendenti. (leggi qui).
   Non avevo realizzato che la Repubblica socialista del Vietnam e’ uno dei quattro Stati al mondo (rimasti) governati dal partito unico comunista. Gli altri tre sono Cina, Laos e Cuba (per ora). La scoperta mi ha fatto vedere il Paese sotto un’altra luce.

A EST DELLE INDIE/A zonzo sul 17esimo parallelo con Terzani come guida

Dong Hoi, 21 ottobre 2016
    Potevo scegliere tra una visita alle grotte di Phong Nha (a nord) oppure a zonzo nella zona smilitarizzata (a sud) a cavallo del 17esimo parallelo. Ovviamente ho deciso per la seconda opzione e di buon mattino sono partita da Dong Hoi dopo aver noleggiato una motocicletta nella guestouse.

In borsa avevo la Lonely Planet che suggeriva di visitare delle gallerie sotterranee usate dai Vietcong e un grande cimitero, piu' l’immancabile “Pelle di Leopardo” di Terzani. E’ stata un po’ dura, perche’ di solito le escursioni alla ex DMZ (Demilitarized Zone) sono con delle guide esperte o meglio dei ‘veterani’ che conoscono i posti. In effetti da sola e’ stata dura, ma con l’aiuto di Google Map e della bonanima di Terzani e’ stata una giornata memorabile alla ricerca di luoghi simbolo di una storia che e’ stata una delle piu’ tragiche in Asia.
    “La provincia di Quang Tri, immediatamente a sud della zona smilitarizzata, e’ una terra arida di cui i vietnamiti stessi dicono che i maiali non possono mangiarci che i sassi e le galline la rena…La notte del 27 aprile le salve di artiglieria comunista su Quang Tri si sono intensificate, 1200 colpi di cannone da 130 mm in sole 12 ore... Decine di carri armati hanno iniziato a manovare intorno alla citta’. Il mugghiare dei carri nel buio e’ impressionante...un tuono che rotola sulla terra, senza che si possa sperare nulla. Non si vede niente, non si immagina niente, solo si e’ assediati da questa sferragliante bufera che sembra venire da ogni direzione ma in verita’ non si sa dove i carri siano, da dove stiano per arrivare. A Quang Tri e’ stato il panico. E’ cominciato l’esodo...". Cosi’ Terzani descrive la presa di Quang Tri da parte dei vietcong.

    Ci sono andata in quella pianura lungo il 17esimo parallelo e lungo il fiume Ben Hai che separava i due Vietnam da ovest a est. La fascia costiera tra la NH1, la “strada senza gioia”e il mare, e’ una distesa arida proprio come la descrive Terzani. Arrivando da Dong Hoi, al nord, ho attraversato il fiume su un nuovo ponte cotruito grazie agli aiuti internazionali e poi da li’ ho vagato per stradine di campagna, con un po' di timore per via dei numerosi cartelli che avvertivano della presenza di ordigni inesplosi, in direzione sud fino ad arrivare quasi a Dong Ha, anche questa rasa al suolo dai continui bombardamenti.
    Ci sono molte tombe di famiglia colorate e scolpite come pagode, ma sono di nuova costruzione e le lapidi portano date recenti. Poi ci sono dei cimiteri con delle strane tombe a forma di semisfera, sembrano da lontano delle pagnottelle, ma anche quelle non sono di soldati. Sembra che la gente usi questa inospitale terra di nessuno, piena di mine, come si vede dai cartelli di organizzazioni non governative, per seppellirci i morti. Vista su Google Map e’ una chiazza sabbiosa bianca.
    Sul mare,invece, si possono visitare i rifugi sotterranei di Vinh Moc, un enorme reticolo di gallerie usato dalla popolazione per scampare alle bombe americane e organizzare la guerriglia. E’ stata un po’ dura per me che soffro di claustrofobia scendere nei cunicoli dove la gente cucinava, lavorava e perfino partoriva. E’ proprio cosi’ che i vietcong facevano fessi gli americani e le loro bombe.
  L’altro grande vantaggio, da quanto ho capito e’ l'arci famoso 'sentiero di Ho Chi Min,' che oggi e' una striscia di asfalto in mezzo a una densa foresta. Serviva per portare rifornmenti e uomini al Sud, Era un collegamento strategico fin dal tempo dei francesi. Per questo in quelle zone hanno sganciato tonnellate di bombe
   Dopo aver visitato il cimitero nord vietnamita di Truong Song, dove delle scolaresche avevano appena acceso incensi sulle interminabili file di lapidi bianche, ho percorso il ‘sentiero’ per circa 100 km fino a rientrare, un po' stremata, a Dong Hoi.

A EST DELLE INDIE/ Da Hoi An a Hue, sulla 'costiera vietnamita'

Hue, 20 ottobre 2016
   Da Saigon ho preso il treno della ‘Riunificazione’ e dopo una notte di viaggio sono arrivata a Da Nang, a sud del 17esimo parallelo. Ci sono tre tipi di sistemazione, le cuccette (“sleeper”), poltrone (soft seat) e panche di legno (‘hard seat’). Ovviamente le panche sono piu’ economiche, piu’ o meno quanto costa un bus. Quando ho comprato il biglietto pensavo in realta’ non fosse cosi’ ‘hard’, invece sono veramente delle panche di legno stile Ottocento. Molto retro’ma decisamente scomodo. Meno male che ti danno delle coperte (l’aria condizionata c’e’ed e’ freddissima) che puoi sistemare sotto il sedere. Poi sta a te trovare la migliore posizione per dormire. Puoi distenderti con la schiena e tenere le gambe alzate sul finestrino, tipo L rovesciata. Oppure ti metti su un fianco e allunghi le gambe a squadra sull’alto sedile. Alcuni si erano portati una stuoia e si sono messi a dormire tra i sedili che mi sembrava la soluzione migliore. Per me il problema principal, in realta’, e’ stato il freddo.
  Da Nang, distrutta dalla guerra, e’una citta’ in piena espansione oggi, con i resort sul mare. Non l’ideale per sostare. Sono invece tornata indietro di 20 km a Hoi An, raccomandata dalla Lonely perche’ e’ stato un antico centro di commerci di cinesi e giapponesi nel XVI e XVII secolo e c’e’ ancora un borgo (patrimonio Unesco) che miracolosamente e’ sopravvissuto ai bombardamenti. Peccato che sia completamente occupato da ristoranti e negozi, a tal punto che si fa fatica a vedere l’architettura originale. Alla sera le strade del borgo e il fiume Thu Bon si riempiono di lanterne cinesi. E’ decisamente il luogo piu’ romantico del Vietnam, anche se del tutto finto.
    In realta’ Hoi An per me e’ stato il punto di partenza per un viaggio in moto su una delle strade piu’ belle , una sorta di ‘costiera vietnamita’. E’una strada che parte da Da Nang e che attraversa l’Hai Van Pass, un famoso valico dove ci sono dei resti di fortifcazioni francesi, e che finisce a Hue, la ex capitale all’epoca dell’impero vietnamita.
    E’ estremamente facile e cheap (17 dollari) affittare uno scooter per la giornata (che si lascia poi a destinazione). La strada che attraversa le “Marble Mountains” ha panorami mozzzafiato sul Mar Cinese Meridionale. Ma gli ultimi 40-50 km sono tra i camion dell’autostrada numero 1 (NH1) la “strada senza gioia’ perche’ e’ stata teatro di molti combattimenti.
    
Anche Hue ha un passato tragico. Terzani, in ‘pelle di leopardo’, racconta dell’assedio alla cittadella dove gli americani avevano la base. E’qui che c’e’ il fiume dei Profumi (Song Huong River), un nome romantico per un fiume che invece ha visto le peggiori atrocita’ . Ho scoperto che esiste una canzone anti guerra scritta da Biagio Antonacci dedicata a questo corso d'acqua.
    La moderna Hue e’ invece una citta’ consumistica e un po’ volgare, contrariamente alla sua fama di “capitale culturale’. Ceffi poco raccomandabili mi hanno fermata un paio di volte in strada, in pieno giorno, offrendomi della weed, marijuana. E’ un punto di passaggio obbligato per il turismo di massa e le conseguenze si vedono.

A EST DELLE INDIE/ Nel museo degli orrori di Saigon

Saigon, 16 ottobre 2016
   
  In Vietnam, come in Cambogia, e’ difficile non pensare ai massacri e agli orrori della guerra civile. Frotte di ragazzi da tutto il mondo affollano i bar ubriacandosi di birra “Saigon”, che qui costa meno dell’acqua e fumando una sigaretta dopo l’altra. D’altronde lo facevano anche i marines americani per rilassarsi dopo aver macellato i Viet Cong.
   Lo ammetto, so poche poche cose della tragedia del Vietnam e forse potre anche prendre cantonate. Non e’ colpa mia. Ero troppo giovane per leggere le cronache della guerra sui giornali negli anni Settanta. E quella guerra non c’era ancora nei testi di storia quando ho iniziato il liceo negli anni Ottanta.

   Probabilmente, se fossi stata qui come reporter, anch’io avrei parteggiato per i Viet Cong. Come scrive Tiziano Terzani, nella premessa (25 anni dopo) alla ristampa del suo famoso “Pelle di Leopardo” che sto leggendo proprio ora, “fra gli americani on la loro sofisticata, tecnologicissima macchina da guerra e i contadini-guerriglieri, la scelta era fin troppo facile”.   Sono andata a vedere il ‘museo della guerra, il “War Remnants Museum” lo chiamano ora, ma prima del 1993 era il “Museo dei Crimini di Guerra Americani”. Il nome e’ stato rimosso dopo la normalizzazione dei rapporti con Washington, ma la sostanza e’ la stessa.
   Il museo sorge sul posto che era dell’agenzia della propaganda Usa, la United States Information Agency. E’ un edificio semplice dove non ti aspetti di trovare delle immagini cosi’ cruente che secondo me andrebbero vietate ai bambini. Alcuni dicono che e’ propaganda anti americana, a ma sembrano invece solo un nudo e crudo elenco di ‘fatti’ in ordine cronologico che testimoniano un periodo storico che va dagli anni Sessanta al 1975. Non penso che all’epoca si usasse Photoshop anche se alcuni dicono che l’allunaggio non sia mai avvenuto. Certo, e' vero, si mostra solo una faccia della medaglia, mancano gli orrori commessi dal regime nord vietnamita contro i dissidentie oppositori,
   Sono immagini che ovviamente in Occidente si tende a dimenticare perche’ sono la coscienza sporca degli Usa e dei suoi alleati. Ci sono le testimonianze delle vittime del napalm e del “gas arancio”, le foto delle malformazioni causate dalle armi chimiche, di intere foreste distrutte dagli esfolianti...e i bombardamenti a teppeto dei villaggi e il massacro di My Lai...Poi le immagini shock delle torture sulla popolazione civile, i GI che esibiscono teschi e trofei umani...Ripeto, sara’ forse propaganda governativa, ma le immagini sono li’ a ricordare gli abusi che purtroppo anni dopo si sono ripetuti in Iraq, Afghanistan, Guantanamo Bay e Dio-solo-sa dove in questo momento.

   Ho trovato qui anche l’originale del famosissimo scatto di Phan Thi Kim Phuc, noto come la ‘napalm girl’ che ha vinto il Pulitzer nel 1972. Il fotografo vietnamita dell’AP, Nick Ut, ha regalato il negativo nel 2013. Leggo su Wikipedia che la ragazza, oggi 53enne e diventata canadese, e’ ancora oggi in cura per le conseguenze del micidiale gas usato dai sud vietnamiti e dai loro alleati americani. Sempre a proposito della celebre foto leggo sempre su Wikipedia che Nixon, in una conversazione con un suo consigliere (resa pubblica dopo la declassificazione degli archivi sulla guerra), si era chiesto se era ‘autentica’.
   Tra i visitatori del museo ho visto molti americani e mi sono chiesta come potevano sentirsi. Molti pensano che volutamente il governo esibisca qui solo un lato della medaglia. Barack Obama, quando e’ venuto a Saigon a marzo, e’ stato ricevuto come una rock star. Washington non ha mai chiesto scusa mi sembra anche se orai si sa tutto delle operazioni segrete della Cia perche’ sono state declasssificate.

    Ha pero’ revocato l’embargo sulla vendita di armi, retaggio della guerra fredda, accogliendo quindi il'comunista' Vietnam tra gli amici fidati.  Il presidente Richard Nixon, altri tempi e altro partito, voleva buttare la bomba atomica. Era stato Bill Clinton a riallacciare le relazioni diplomatiche nel 1995.
   Da due anni c’e’ il MacDonald a fianco della chiesa di Notre Dame e indovinate chi ha il franchising per il Vietnam? Il cognato dell’ex primo ministro, Nguyen Tan Dung, ex vietcong silurato dal Partito Comunista a gennaio. Insomma gli americani sono uscito dalla porta ma sono rientrati dalla finestra (per restare).

A EST DELLE INDIE/Saigon, il regno dei motociclisti

Saigon (Ho Chi Min City), 15 ottobre 2016

   La prima cosa che mi ha colpito di Saigon e' la quantita' impressionante di motociclette. Sono arrivata ieri sera con un bus da Phnom Penh e a piedi mi sono incamminata verso la zona di Pham Ngu Lao, che e' il ghetto turistico, una sorta di Khao San road vietnamita. Avevo letto che Saigon era una citta' godereccia, ma non mi aspettavo di vedere una cosi' grande massa di giovani in strada e nei locali, soprattutto ragazze.
   Le due ruote formano un fume in strada e invadono qualsiasi spazio su marciapiedi e aree di sosta, sono decisamente superiori al numero di auto. I bus sono inesistenti, i taxi pochissimi. Stranamente qui non ci sono i tuc tuc come nella maggior parte dell'Asia, ma i 'moto taxi'. Sostano sui marciapiedi in attesa di clienti, ma spesso e' difficile capire se sono 'mototassisti' o gente ferma per fatti suoi.
La circolazione  e' completamente anarchica e non ho mai visto poliziotti o qualcuno che fermasse quelli che andavano in contromano o passavano con il rosso. Le moto sono  cosi' tante che formano una specie di 'massa d'urto'  impedendo a volte la circolazione alle auto.  Deve essere un incubo per un automobilista farsi largo tra l'enorme flusso che visto da lontano sembra uno sciame di api impazzite. Nelle tangenziali, una corsia e' dedicata esclusivamente alle due ruote.
Prendendola come una sfida, ho deciso di mettermi alla prova. Ho noleggiato uno scooter (5 dollari al giorno) e sono andata a visitare un antico tempio, Giac Lam Pagoda, che e' un po' fuori dal centro. All'inizio ero un po' impacciata perche' non mi trovavo con la guida a destra, ma ci e' voluto poco per mostrare le mie prodezze imparate in anni di traffico a New Delhi. E' molto piu'divertente qui, perche' mentre in India bisogna stare attenti a auto, bus e tutti quelli che sono piu' grandi di te, qui le due ruote hanno la supremazia assoluta.  Ed e' ammesso tutto, dal tagliare la strada, al contromano, allo zig e zag, senza alcuna protesta da parte degli altri motociclisti. Al massimo una clacsonata, ma assolutamente nessuna reazione verbale o gestuale. Imperturbabili come un Buddha.      



A EST DELLE INDIE/ Sihanoukville, la guesthose "no prostitution' di Francesca e Taka

Sihanoukville, 12 ottobre2016
   Sono venuta a trovare una carissima coppia di amici, Francesca Ramello e Taka Shigemitsu, lei italiana e lui giapponese. Lei artista (pittrice e art designer) e lui fotografo. Due viaggiatori che a un certo punto hanno deciso di unire le loro strade e lanciarsi in una nuova avventura. Hanno  una vecchia guesthouse a Sihanoukville, la ‘riviera’ della Cambodia, l’hanno rimessa a posto con le loro mani e da due anni la gestiscono con successo. E’ una di quei sogni che spesso hanno i viaggiatori quando per esempio dormono in vere e proprie topaie e pensano, "ci vorrebbe poco per farne un bel posto...".

   I miei amici hanno preso sul serio la sfida. Con un piccolo investimento (in Cambogia costa ancora poco la vita) hanno aperto la “Chochi Guesthouse”, a due passi dalla spiagga di Serendipity e dal molo dove partono lebarche per le isole Chochi e’ una cagnetta randagia raccolta da Francesca e diventa la mascotte, nonche’ la regina della guesthouse.
    Sihanoukille e’una delle mete emergenti in Cambogia e il turismo negli ultimi anni e’ aumentato, nonostante la ridotta presenza dei russi, piegati dalla svalutazione del rublo. Tant’e’ che lo sviluppo edilizio e’ in piena espansione. Ci sono cantieri di orrendi palazzoni un po’ ovunque, purtroppo anche vicino alla spiaggia. L’idea e’di fare una ‘Pattaya’ cambogiana, la famosa mecca del piacere low cost a poche ore da Bangkok. I casino e le prostitute ci sono gia’ e fanno concorrenza alle thailandesi perche’ costano di meno. Ci sono nei bar sul lungomare e in altri posti in citta’. Il rapporto si chiama ‘bum bum”, mentre il sesso orale “gnam gnam”. In giro (adesso che e’ bassa stagione) ci sono uomini, di solito over 50, che fanno turismo sessuale. Ci sono anche italiani, ovviamente, anche se un po’ di meno rispetto al passato, la crisi colpisce anche qui.  Qualcuno si e’ messo insieme a una cambogiana, altri hanno aperto un business.
  La prostituzione ha creato un indotto di ristoranti e hotel. Mi hanno detto che ci sono anche un buon numero di ‘ladyboy’, travestiti, come li chiamano qui. E che spesso rapinano i clienti dopo averli drogati o abbindolati in diverse maniere. La mia amica Francesca mi ha raccontato alcune storie pazzesche di gente ubriaca, rapinata dalle prostitute o finita in strani giri della criminalita’ o peggio in storie di corruzione che in Cambogia e’ tra le piu’ alte dell’Asia.
   Dopo aver avuto un po’ di guai con clienti del circuito sessuale, Francesca e Taka hanno deciso di mettere un cartello all’ingresso. ”No prostitution”. Penso che sia l’unica guesthouse in Cambogia e (forse anche in Thailandia) che abbia questo tipo di divieto. E’ come se uno vietasse l’ingresso dei pensionato dalle pensioni di Loano o Spotorno.
   Hanno avuto coraggio, ma scelta alla fine ha portato una diversa clientela, coppie straniere e soprattutto donne.

A EST DELLE INDIE - Sull'unico treno della Cambogia

Sihanoukville, domenica 9 ottobre 2016

   Ho preso l'unico treno esistente in Cambogia, il Phnom Penh-Sihanoukville delle 7 del mattino, reintrodotto appena qualche mese fa dopo 14 anni di abbandono della ferrovia per via della guerra civile.  Viaggia solo al sabato e alla domenica, piu' una serie di feste comandate.
    Per trovare la stazione di Phnom Penh, incassata tra shopping mall e il New Market, ci ho messo un bel po', meno male che avevo il gps. Nessuno, ma proprio nessuno, sapeva dove era. Paradossalmente nemmeno i tuc tuc posteggiati davanti! Pochissimo parlano inglese in Cambogia (anche se poi inspiegabilmente tutti usano internet). Io poi regolarmente mi dimentico che non pronunciano le 'erre'. Insomma nessuno conosceva la parola 'treno' e gesti nonn saprei come imitare un treno...
    La ferrovia appartiene ai tempi coloniali della Cambogia. L'avevano infatti costruita i francesi. E molti non se la ricordano neppure o semplicemente non erano nati. Il treno bisettimanale per Sihanoukville, la 'riviera' della Cambogia, e' stato rilanciato dalla Royal Railway a giugno dopo alcuni anni di lavori di ristrutturazione. Hanno dovuto demolire delle case che erano state costruite sui binari e spostare un bel po' di gente per far passare il treno, Percorre una distanza di 266 km in sei ore e mezza, allo stesso costo del bus, sette dollari (la moneta americana e' largamente usata nel Paese comunista).
   All'ingresso della stazione ci sono dei cartelli che pubblicizzano il servizio come mezzo alternativo 'piu' sicuro' e' piu' comodo''. Purtroppo penso che non abbia ancora fatto presa. Oltre a me c'erano solo una ventina di passeggeri nelle due carrozze a cui erano attaccati anche due vagoni merci. Si puo' trasportare infatti l'auto o la moto.
    Il viaggio scorre piacevolmente in un paesaggio bucolico tra risaie e villaggi che non sono collegati con la rete stradale. A bordo c'e'  l'aria condizionata (si gela, tanto che ho dovuto aprire i finestrini) e una televisione. Per un po' hanno trasmesso un film cambogiano, poi quando eravamo nelle campagne e' stata attivata una telecamera fissa che mostrava il binario (unico) davanti alla locomotiva. La cosa mi ha inquietato un po'. Noi passeggeri dobbiamo controllare che non ci siano persone sui binari? O che non arrivo un treno dalla parte opposta? E selo vediamo che facciamo? Ci buttiamo fuori?  L'inquitudine e' aumentata quando il controllore, l'unico che parlava inglese e con cui ho intavolato un discorso sui benefici del trasporto su ferro, mi ha detto che stavamo  passando l'unica zona popolata ancora da Khmer Rouge. "Ma non sono piu' armati" ha precisato probabilmente leggendo in viso la mia preoccupazione,  
    Nelle due uniche fermate, a Takeo e Kampot, ci si ferma per mezzora.  Si scende in stazioni fresche di verniche, anche quelle riesumate da poco, tra una lunga fila di venditori ambulanti di rane fritte e riso. Appena riparte il treno ritirano le loro mercanzie e se ne vanno in fretta. L'arrivo nelle due stazioni e' comunicato ai passeggeri dallo stesso controllore in Khmer e in inglese con un megafono che poi ripone su un sedile. Un'esperienza indimenticabile
   

A EST DELLE INDIE - Dai templi di Angkor alle prigioni di Pol Pot

Phnom Penh, 5 ottobre 2016
    Sono convinta che ci sia qualcosa di malato in questo tassello di Asia che fa da ponte in mezzo ai giganti di India e Cina, non a caso l'Indocina appunto.  Non solo per le recenti guerre. Si potrebbe dire lo stesso per i conflitti interni Medio Oriente, ma li’ e’ diverso, riesco piu’ o meno a comprendere. Qui c’e’ qualcosa che mi sfugge.

    La prima cosa che sono andata a vedere a Phnom Penh e’ il Tuol Sleng (letteralmente la 'collina della stricnina'), un museo dedicato al genocidio di Pol Pot. E’ in una ex scuola superiore che i Khmer Rouge avevano trasformato in una prigione segreta (Security Prison 21 o S-21). La visita, con audio guida, richiede uno stomaco forte. Si pensa che siano passate circa 20 mila persone da queste stanze degli orrori e pochi sono sopravvissuti alle torture. La prigione e’ stata abbandonata in fretta e furia nel 1979 quando i vietnamiti sono entrati nella citta’ da “liberatori”. A scoprire gli orrori della S21 sono stati dei fotografi cambogiani incuriositi dall'odore che emanava il posto. Hanno trovato sui letti di ferro i corpi martoriati di 14 poveracci ormai in putrefazione.
    Come e’ stato per il regime nazista, anche qui l’organizzazione era maniacale. Kaing Guek Eav, il famigerato compagno Duch  (condannato a 35 anni di carcere da un tribunale per i crimini nel 2010) che era responsabile della prigione, aveva messo delle regole ben precise per torturati e torturatori.  Tutto veniva minuziosamente registrato e fotografato. Come se non ci si rendesse conto che in questo modo si lasciavano tonnellate di prove delle barbarie che - lo ricordo - risalgono a solo 40 anni fa.
    Mentre camminavo tra i corridoi, tra il profumo dei fiori di frangipane (che contrasto!) pensavo alle rovine di Angkor che avevo visto qualche giorno prima quando sono sbarcata a Siam Reap direttamente con il bus da Bangkok. Universalmente noto, e' il gigatesco sito religioso creato da diversi sovrani megalomani a partire dal IX secolo. L’attuale giovane re della Cambogia, Norodom Sihamoni, salito al trono nel 2004, e’ molto probabilmente (ma non sono sicura) un discendente della dinastia di Angkor.
    Sono andata a zonzo per un paio di giorni in bicicletta nel parco archeologico. Una faticata, perche’ ho fatto decine di chilometri tra le risaie e la foresta, ma mi e’ servito per rendermi conto della vastita di questo misterioso complesso. E’ diverso dalle altre famose citta' dell'antichita' che si sono tramandate fino a oggi, penso a Pompei o alla ricchissima Hampi in India, o ancora a Petra in Giordania. Qui ci sono solo templi induisti e buddisti, non mi sembra che ci siano i resti di palazzi o mercati. O di una struttura urbana, Mi chiedo quindi come potevano essere ‘fruibili’ all’epoca. Vi abitavano solo i sacerdoti? Il sovrano veniva solo per le feste comandate?
    Leggo che nell’802 il re Jayavarman II si autoproclamò "Chakravartim", cioè re del mondo. Certo anche Augusto o Luigi XIV, o i Faraoni egiziani, avevano delle simili ambizioni.
 Ma qui le dimensioni della megalomania hanno raggiunto i massimi livelli. Si prenda per esempio il tempio del Bayon, quello che mi ha colpito di piu'. Dicono che i volti sulle torri somiglino al sovrano Jayavarman VII che si considerava "devaraja" (dio re). Diciamo chei germi per un Pol Pot c'erano gia' all'epoca....


A EST DELLE INDIE/ Bangkok, la casa di Terzani e' in vendita!

Bangkok, 4 ottobre 2016

   Sono andata a vedere se la”Turtle House” di Tiziano Terzani a Sukhumvit 39 esisteva ancora. Sapevo che da diversi anni era stata trasfornata in un ristorante, Lai Thai, che pero’ quest’anno aveva chiuso. Con orrrore pensavo ci fosse un cantiere edile.
   Invece, sorpresa... la casa descritta in "Un indovino mi disse" e’ in vendita o affitto come vedete da questa foto. Prima o poi arrivera' il palazzinaro, Mi verrebbe voglia di lanciare una colletta.

A EST DELLE INDIE/ Bangkok, speriamo che Delhi non faccia la stessa fine

Bangkok, 3 ottobre 2016

   Sono convinta che a Bangkok una volta c’erano gli alberi come a New Delhi. Mi piacerebbe vedere le foto di mezzo secolo fa. Probabilmente c’erano anche casette di legno come quella dove viveva Tiziano Terzani con la tartaruga nello stagno e un giardino rigoglioso.
   Adesso Bangkok e’ una citta’ violentata dal cemento e dal traffico, come molte metropoli del sud-est asiatico. I grattacieli hanno sostituito le palazzine, i cavalcavia hanno eliminato i viali alberati e lo ‘sky train’ ha oscurato l'unico pezzo di cielo che era rimasto. Cosi' e' diventato il quartiere residenziale di Sukhumvit, quello dei ricchi e delle ambasciate.
   Ma poco a poco la colata di cemento si sta allargando e adesso arriva fino alle sponde del fiume Chao Phraya. E' come un virus. Si moltiplicano mega complessi residenziali, hotel, shopping mall. Si continua a costruire ad oltranza anche se la Thailandia non e’ piu’ una “Tigre”. Anche se ci sono un po’ ovunque i cartelli affittasi o vendesi.
   Ogni volta che vengo a Bangkok penso (con orrore) che questa sara’ la fine che fara’ New Delhi tra un paio di decenni. Da alcuni anni, il trend edilizio nella capitale indiana e’ questo. Sembra un destino segnato. Ma poi penso che, per fortuna in India, la societa' civile e' piu' libera  e (si spera) qualcuno si opporra’ alla cementficazione selvaggia, come e'gia' avvenuto. E meno male che gli alberi sono sacri per gli indu’e i buddisti, compresi quelli thailandesi. E’ sotto un albero, un banyam, che Siddharta Gautama e’ diventato Buddha. 
   Anche la religione in questa citta’ sembra finta. Non si vedono manco piu’ i monaci in strada. Ho visitato la casa-museo di Jim Thompson, un imprenditore e megalomane americano legato al business della seta e morto misteriosamente in Malaysia.  Una giovane guida ha spiegato che vicino a ogni nuovo edificio i Thai piazzano la”casa degli spiriti” (in lingua locale “san phra phuum”) per onorare coloro che sono vissuti sul luogo. Infatti un po’ ovunque ci sono delle piccole casette con statuine degli ‘antenati’a cui si offrono incensi, bibiti e cibo ogni giorno. Ci sono anche vicino ai grattacieli. Mi chiedo se davvero basta una casetta per tenere a bada l’incazzatura degli "spiriti" sfrattati per far posto agli ecomostri.

   Per dare una parvenza ecologica, ho notato che hanno creato dei 'giardini pensili" per mascherare gli orrendi piloni di cemento dello “sky train”. E’ patetico il tentativo,ma non c'e' altra scelta perche' non esiste spazio per piantare qualcosa che non sia di plastica. Sono andata nell’unico “polmone verde” della citta’, il Lumphini Park. E’ un fazzoletto di prato con un laghetto in mezzo. Un ‘Central Park’ in miniatura per una citta’ di 10 milioni di abitanti.
    L’unico verde rimasto, dove ci si ricorda che siamo ai Tropici, e’ lungo i canali, i klongs che in passato hanno reso famosa Bangkok come la “Venezia dell’Est”. Li’c’e’ ancora un po’ della vecchia citta’, nelle botteghe familiari, nelle verande con le gabbiette degli uccelli e nei venditori ambulanti. Su alcuni di questi 'navigli' ci passano i ‘water taxi’,lunghe barche pilotate da un guidatore con un volante simile a quello dei bus.
    Il mio ostello e’ vicino al Khlong Saen Saep, uno dei pochi canali navigabili. In realta’ e’ una fogna navigabile, ma e’ utilissimi per arrivare velocemente dal centro storico o dalla famigerata Kao San Road agli shopping mall di Sukhumvit. Spesso mi imbarco a Phalfa Bridge per andare al National Stadium dove arriva lo 'skytrain'.
    Ma non e' solo l'aspetto ecologico che mi urta di Bangkok. La trovo una citta’ volgare. Non e’ solo per il business della prostituzione, che (mi sembra) e’ un po’ meno sfacciato rispetto al passato, ma per il tipo di consumismo. Sembra che alla gente non interessi altro che mangiare, scopare e fare shopping. Difficile andare oltre questo livello.

  Grazie agli smartphone, che si possono spiare facilmente da chi ci sta accanto, oggi e’ molto facile entrare nella vita di sconosciuti incontrati per strada. E' quasi come leggere nel pensiero. All’aeroporto ero in fila per l’immigration e un uomo davanti a me stava scorrendo sul suo Samsung delle foto di escort. Stava organizzando la serata. In metropolitana, invece, ho assistito alla caccia in diretta di un mostriciattolo del Pokemon. Un uomo, gia’oltre i trentanni, stava “pattugliando” virtualmente la zona e ogni tanto scovava qualche nemico da eliminare.
   Sto leggendo "Bangkok Days" di Lawrence Osborne. La sua definizione e' celebre: “Because Bangkok is where some people go when they feel that they can not longer to be loved, when they give up”.