Chios, 21 giugno 2016
Insieme a Samos e Lesbo, l’isola di Chios e’ uno dei principali avamposti orientali dell’Unione Europea per quanto riguarda il flusso di profughi da Siria e Iraq. Qui l’Europa tocca l’Asia e il Medio Oriente.
E’ a soli 8 chilometri dalla Turchia ed e’ ovviamente collegata con Atene. Fino a prima di marzo, quando l’Unione Europea ha bloccato l’accesso con la collaborazione della Turchia, era uno dei punti di transito per i rifugiati verso la Germania e le ambite mete del Nord Europa.
Ma dopo marzo il governo greco non autorizza piu’ il passaggio e in teoria dovrebbe rispedire indietro i profughi alla Turchia.
Tutto questo l’avevo letto sui giornali, ma come sempre fino a quando non si vede con i propri occhi e’ difficile comprendere la situazione.
Anche io come i migranti sono sulla stessa rotta per l’Europa, con la differenza pero’ di avere un passaporto della Ue che mi apre automaticamente le porte.
A Chios, isola nota per la produzione del mastice estratto dalla pianta di lentisco, ci sono circa 2.400 profughi ‘bloccati’ da marzo, di diverse nazionalita’ma con una prevalenza di siriani, iracheni e afghani. In un’isola che ha circa 50 mila abitanti e che e’ lunga una cinquantina di chilometro non li si vede.
Ma appena arrivata con il traghetto da Cesme ho subito notato i presidio di vedette della Guardia Costiera che pattugliano lo stretto braccio di mare. Questi confini orientali della Ue sono super protetti dalle ‘invasioni’. E’ ovviamente molto piu’ facile qui che nei confini meridionali che sono in mare aperto.
Il porto di Chios e’ ormai attrezzato per queste emergenze e si e’ trasformato in un fortino. La scorsa estate il flusso di profughi dalla Siria era di centinaia al giorno giunti sui traghetti regolari, che tra l’altro non sono neppure economici, dai 20 ai 25 euro per circa un’ora di viaggio. Ho visto delle foto del porto che sembrava una tendopoli. Adesso non ci sono molte tracce, a parte un cartello che indica la direzione dei campi di accoglienza e i minuti di cammino da percorrere.
Il piu’ grande centro di accoglienza, e l’unico attrezzato, e’ quello di Vial situato piu’ o meno in mezzo all’isola in una ex fabbrica. Da fuori sembra una Guantanamo, e’presidiato dalla polizia che se ne sta in un gabbiotto con aria condizionata e che gentilmene respinge ogni curioso, compresi i giornalisti che sono invitati a ottenere il permesso dalle autorita’ greche. Quando sono arrivata c’era un taxi in attesa (di non so chi ) e un chiosco per le bibite. Intorno ai campi e’ nato infatti un indotto, che secondo me, sta compensando il drammatico calo dei turisti europei (mentre i turchi sono in aumento).
Davanti a centro di Vial ho incontrato un eritreo che era li’ da quattro mesi e un iraniano, Ali, che mi diceva doveva affrontare l’ultima intervista “prima di avere un passaporto”. Come sia possibile non lo so, ma Ali mi e’ sembrato uno in gamba, che conosce diverse lingue compreso il greco. Ma serba un gran rancore verso le autorita’ greche che lo hanno interrogato e chiesto ripetutamente perche’ sapeva la loro lingua. Dice di essere scappato perche’ si era convertito al cristianesimo e quindi era perseguitato.
Insieme a lui c’erano una madre e una bambina che ho accompagnato con lo scooter in una spiaggia vicino alla citta’di Chios. Mi sembrava un bel gesto aiutare qualcuno anche con un passaggio.
Un altro camp, Sauda e’ a due passi dal porto, sotto le mura del castello medioevale, praticamente in spiaggia e quindi sotto gli occhi di tutti. Anche qui ci sono delle strutture UNHCR, ma le condizioni sono peggiori perche’ sono tende sulla terra e tra le sterpaglie.
Un giovane curdo, scappato da Kobane insieme alla moglie e a una bella bambina bionda e paffuta di un anno, mi ha mostrato la tenda canadese dove vivono. E’ tra le sterpaglie di quello che una volta forse era il canale d’acqua che proteggeva il castello. Ci sono molri insetti e anche qualche serpente. Ne ho visto uno mentre ero la’ seduta su una coperta con loro.
La famiglia e’ arrivata due mesi fa ed e’ bloccata con altri abitanti di Kobane. Sperano di andare in Germania, come tutti, dove si trova anche un fratello della donna.
Insieme a Samos e Lesbo, l’isola di Chios e’ uno dei principali avamposti orientali dell’Unione Europea per quanto riguarda il flusso di profughi da Siria e Iraq. Qui l’Europa tocca l’Asia e il Medio Oriente.
E’ a soli 8 chilometri dalla Turchia ed e’ ovviamente collegata con Atene. Fino a prima di marzo, quando l’Unione Europea ha bloccato l’accesso con la collaborazione della Turchia, era uno dei punti di transito per i rifugiati verso la Germania e le ambite mete del Nord Europa.
Ma dopo marzo il governo greco non autorizza piu’ il passaggio e in teoria dovrebbe rispedire indietro i profughi alla Turchia.
Tutto questo l’avevo letto sui giornali, ma come sempre fino a quando non si vede con i propri occhi e’ difficile comprendere la situazione.
Anche io come i migranti sono sulla stessa rotta per l’Europa, con la differenza pero’ di avere un passaporto della Ue che mi apre automaticamente le porte.
A Chios, isola nota per la produzione del mastice estratto dalla pianta di lentisco, ci sono circa 2.400 profughi ‘bloccati’ da marzo, di diverse nazionalita’ma con una prevalenza di siriani, iracheni e afghani. In un’isola che ha circa 50 mila abitanti e che e’ lunga una cinquantina di chilometro non li si vede.
Ma appena arrivata con il traghetto da Cesme ho subito notato i presidio di vedette della Guardia Costiera che pattugliano lo stretto braccio di mare. Questi confini orientali della Ue sono super protetti dalle ‘invasioni’. E’ ovviamente molto piu’ facile qui che nei confini meridionali che sono in mare aperto.
Il porto di Chios e’ ormai attrezzato per queste emergenze e si e’ trasformato in un fortino. La scorsa estate il flusso di profughi dalla Siria era di centinaia al giorno giunti sui traghetti regolari, che tra l’altro non sono neppure economici, dai 20 ai 25 euro per circa un’ora di viaggio. Ho visto delle foto del porto che sembrava una tendopoli. Adesso non ci sono molte tracce, a parte un cartello che indica la direzione dei campi di accoglienza e i minuti di cammino da percorrere.
Il piu’ grande centro di accoglienza, e l’unico attrezzato, e’ quello di Vial situato piu’ o meno in mezzo all’isola in una ex fabbrica. Da fuori sembra una Guantanamo, e’presidiato dalla polizia che se ne sta in un gabbiotto con aria condizionata e che gentilmene respinge ogni curioso, compresi i giornalisti che sono invitati a ottenere il permesso dalle autorita’ greche. Quando sono arrivata c’era un taxi in attesa (di non so chi ) e un chiosco per le bibite. Intorno ai campi e’ nato infatti un indotto, che secondo me, sta compensando il drammatico calo dei turisti europei (mentre i turchi sono in aumento).
Davanti a centro di Vial ho incontrato un eritreo che era li’ da quattro mesi e un iraniano, Ali, che mi diceva doveva affrontare l’ultima intervista “prima di avere un passaporto”. Come sia possibile non lo so, ma Ali mi e’ sembrato uno in gamba, che conosce diverse lingue compreso il greco. Ma serba un gran rancore verso le autorita’ greche che lo hanno interrogato e chiesto ripetutamente perche’ sapeva la loro lingua. Dice di essere scappato perche’ si era convertito al cristianesimo e quindi era perseguitato.
Insieme a lui c’erano una madre e una bambina che ho accompagnato con lo scooter in una spiaggia vicino alla citta’di Chios. Mi sembrava un bel gesto aiutare qualcuno anche con un passaggio.
Un altro camp, Sauda e’ a due passi dal porto, sotto le mura del castello medioevale, praticamente in spiaggia e quindi sotto gli occhi di tutti. Anche qui ci sono delle strutture UNHCR, ma le condizioni sono peggiori perche’ sono tende sulla terra e tra le sterpaglie.
Un giovane curdo, scappato da Kobane insieme alla moglie e a una bella bambina bionda e paffuta di un anno, mi ha mostrato la tenda canadese dove vivono. E’ tra le sterpaglie di quello che una volta forse era il canale d’acqua che proteggeva il castello. Ci sono molri insetti e anche qualche serpente. Ne ho visto uno mentre ero la’ seduta su una coperta con loro.
La famiglia e’ arrivata due mesi fa ed e’ bloccata con altri abitanti di Kobane. Sperano di andare in Germania, come tutti, dove si trova anche un fratello della donna.
Il caldo di questi giorni, oltre i 35 gradi, rende impossibile la vita nelle tende. “Andiamo nel pomeriggio in un giardino pubblico” mi dicono. La bambina e’ piena di morsicature di zanzare. La madre dice che alla sera arriva un medico e che chiedera’ della pomata antizanzare. C’e’ una grande dignita’ nei profughi curdi siriani, a differenza degli iracheni, che invecemi sembrano piu’ irruenti.
Purtroppo non ho chiesto il nome dell’uomo, mi sono limitata a dirgli di tenere duro. Secondo me presto risolveranno la questione perche’ non possono tenere sull’isola i rifugiati adesso che inizia la stagione turistica. Le condizioni di vita poi, in quella tendopoli, con il caldo, sono intollerabili.
Intanto nel porticciolo ci sono frotte di bambini che fanno il bagno e giocano insieme. Non stanno mai fermi, sembra che di divertano molto a formare delle ‘bande’ insieme. Quando vedono il mio scooter mi assaltano e cosi’ mi ritrovo a caricarne tre o quattro per volta e a portarli in tondo a turno, come su una giostra.
Ammar, invece e’ iracheno e ha perso moglie e figlio, uccisi da Daesh (le iniziali arabe del Califfato Islamico), che aveva lasciato a casa. Se ho ben capito lui era scappato dopo cattura di Saddam Hussein, era stato in Siria per diversi anni, poi in Libano e poi qui con la speranza di andare in Europa. Ho l’impressione che la crisi dei profughi, esplosa con la guerra in Siria e in Iraq, abbia di fatto risvegliato tutte le aspirazione di coloro che erano gia’ rifugiati da anni per diversi motivi e che avevano perso le speranze di entrare in Europa. Adesso tutti vogliono essere asilanti, ma e’ difficile separare i profuughi di guerra da quelli che scappano da fame o persecuzioni...e forse questi non ne hanno diritto.
Mi rendo conto che di queste tematiche in Europa se ne parla da anni, ma come dicevo prima, un conto e’ leggere sulla stampa, un conto e’ ritrovarsi davanti i ‘migranti’ in carne e ossa. Non mi piace definirli migranti, vorrei che si chiamassero profughi o riifugiati, soprattutto i siriani, perche’ quello e’ il loro status in base al quale godono di precisi diritti in base alle Convenioni Onu. E tra questi diritti c’e’ quello basilare di non essere rimandato indietro se nel loro Paese c’e’ la guerra.
Della situazione ho parlato anche con la titolare dell’autonoleggio Kobas, che e’ da oltre 30 anni al porto di Chios. Mi ha detto che c’e’ stato un crollo del turismo euroeo, di fatti sono quasi da sola sull’intera isola, mentre e’ aumento al week end quello dalla Turchia. La gita domenicale in Grecia e’ l’ultima moda per la ricca middle class turca anche se costa molto e ci vuole anche un visto.
Mi ha poi raccontato che prima dell’accordo di marzo tra Ue e Turchia il porto era una tendopoli. Ancora adesso dice qualcuno riesce ad arrivare clandestinamente ma il flusso e’ molto minore rispetto alla scorsa estate. Mi fa poi un quadro degli isolani non troppo lusinghiero, perche’ mi dice che sono tutti benestanti e che non hanno bisogno del turismo per vivere. Lo prova il fatto che alle sette di sabato tutti i negozi siano chiusi, cosa veramente inusuale per una localita’ di mare.
Purtroppo non ho chiesto il nome dell’uomo, mi sono limitata a dirgli di tenere duro. Secondo me presto risolveranno la questione perche’ non possono tenere sull’isola i rifugiati adesso che inizia la stagione turistica. Le condizioni di vita poi, in quella tendopoli, con il caldo, sono intollerabili.
Intanto nel porticciolo ci sono frotte di bambini che fanno il bagno e giocano insieme. Non stanno mai fermi, sembra che di divertano molto a formare delle ‘bande’ insieme. Quando vedono il mio scooter mi assaltano e cosi’ mi ritrovo a caricarne tre o quattro per volta e a portarli in tondo a turno, come su una giostra.
Ammar, invece e’ iracheno e ha perso moglie e figlio, uccisi da Daesh (le iniziali arabe del Califfato Islamico), che aveva lasciato a casa. Se ho ben capito lui era scappato dopo cattura di Saddam Hussein, era stato in Siria per diversi anni, poi in Libano e poi qui con la speranza di andare in Europa. Ho l’impressione che la crisi dei profughi, esplosa con la guerra in Siria e in Iraq, abbia di fatto risvegliato tutte le aspirazione di coloro che erano gia’ rifugiati da anni per diversi motivi e che avevano perso le speranze di entrare in Europa. Adesso tutti vogliono essere asilanti, ma e’ difficile separare i profuughi di guerra da quelli che scappano da fame o persecuzioni...e forse questi non ne hanno diritto.
Mi rendo conto che di queste tematiche in Europa se ne parla da anni, ma come dicevo prima, un conto e’ leggere sulla stampa, un conto e’ ritrovarsi davanti i ‘migranti’ in carne e ossa. Non mi piace definirli migranti, vorrei che si chiamassero profughi o riifugiati, soprattutto i siriani, perche’ quello e’ il loro status in base al quale godono di precisi diritti in base alle Convenioni Onu. E tra questi diritti c’e’ quello basilare di non essere rimandato indietro se nel loro Paese c’e’ la guerra.
Della situazione ho parlato anche con la titolare dell’autonoleggio Kobas, che e’ da oltre 30 anni al porto di Chios. Mi ha detto che c’e’ stato un crollo del turismo euroeo, di fatti sono quasi da sola sull’intera isola, mentre e’ aumento al week end quello dalla Turchia. La gita domenicale in Grecia e’ l’ultima moda per la ricca middle class turca anche se costa molto e ci vuole anche un visto.
Mi ha poi raccontato che prima dell’accordo di marzo tra Ue e Turchia il porto era una tendopoli. Ancora adesso dice qualcuno riesce ad arrivare clandestinamente ma il flusso e’ molto minore rispetto alla scorsa estate. Mi fa poi un quadro degli isolani non troppo lusinghiero, perche’ mi dice che sono tutti benestanti e che non hanno bisogno del turismo per vivere. Lo prova il fatto che alle sette di sabato tutti i negozi siano chiusi, cosa veramente inusuale per una localita’ di mare.
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