Palolem (Goa), 24 dicembre 2013
Non mi posso
certo lamentare. Il 2013 e’ stato un anno ricco di notizie per l’India e la
regione sud asiatica. E ho avuto la fortuna di poterle raccontare direttamente,
nonostante l’ottusita’ a volte dei
colleghi in Italia che continuano a ignorare questa regione e nonostante la
crisi del giornalismo tradizionale ormai cancellato dalla velocita’ della Rete.
Ovviamente la
vicenda dei maro’ Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in liberta’
provvisoria all’ambasciata d’Italia a New Delhi, ha tenuto banco. Il ritorno
dall’hotel-prigione di Fort Kochi dopo la sentenza della Corte Suprema del 18
gennaio e’ stato salutato come una vittoria. Con il senno di poi, si potrebbe
dire che sono caduti dalla padella alla brace. Sono ancora in attesa di
processo e come se non bastasse indagati da una polizia anti terrorismo National Invesigation Agency (Nia) che
puo’ applicare soltanto leggi anti terrorismo che prevedono la pena di morte.
Come l’India - che ha garantito che non sara’ applicata la forca - ne uscira’ da
questo impasse, e’ tuttoggi un mistero.
I maro’ hanno
causato anche uno dei piu’ gravi incidenti diplomatici che l’India abbia mai
avuto con un Paese europeo quando l’ex ministro Giulio Terzi ha deciso di non rispedirli indietro dopo la licenza elettorale a febbraio. Sono stati giorni tesissimi per
tutti noi italiani in India. Le ritorsioni sarebbero state molto pesanti. E per questo
il governo ha capitolato con un effetto che e’ stato forse peggiore di quello
di non mantenere fede alla promessa fatta alla Corte Suprema sul ritorno entro
il 22 marzo. Adesso, detto in parole povere, New Delhi “ci tiene per le palle”.
Il 2013 e’ stato
l’anno delle donne indiane e della battaglia per i loro diritti. Tutto e’
iniziato dalla orribile storia di Jyoti Singh Pandey, soprannominata
“Nirbhaya”, stuprata il 16 dicembre 2012 su
un autobus e morta nove giorni dopo. Per settimane i giornali non hanno parlato
d’altro e per il perverso effetto mediatico, ogni violenza e’ diventata una
notizia da prima pagina, mentre prima non meritava manco un paio di righe. Cosi’ l’India si e’ accorta di essere un
Paese da incubo per le donne, il turismo femminile e’ crollato e il governo ha risposto con una
legge forcaiola. Nove mesi dopo gli stupratori di Jyoti sono stati condannati
al patibolo, soltanto uno ha scampato l’impiccagione perche’ era minorenne
all’epoca del fatto. Temo che le orripilanti
descrizioni delle torture con una sbarra di ferro e dello sfondamento
dell’intestino abbiano scatenato un effetto imitazione per i giovani indiani che dopo anni di repressione hanno scoperto
la pornografia grazie agli smartphone e al broadband. A marzo una donna svizzera, che faceva campeggio con il marito, e’ stata violentata da un branco di giovani in
Madhya Pradesh. Forse la pensava come
me, che l’India e’ uno dei posto piu’
sicuri del mondo. Purtroppo anche io ho dovuto cambiare idea quest’anno dopo un
paio di esperienze negative durante i miei viaggi in cui sono stata molestata o
oggetto di sguardi luridi anche da parte di ragazzini. Per queste cose, la
forca non serve, basta chiudere i siti porno.
Per la prima
volta mi sono immersa nel mondo degli scrittori, al famoso festival della
Letteratura di Jaipur, un happening mondiale, colorato e caleidoscopio di idee
alternative che ogni anno si organizza nella citta' rosa del Rajasthan. Ho intervistato Ben Jelloun
sulla primavera araba e disquisito dei mercanti veneziani con l’ex giornalista
Andrea Di Robilant.
Il Khumb Mela, il mega raduno religioso di Allahabad, e’ stato di sicuro uno degli avvenimenti
piu’ emozionanti a cui ho assistito nei mie oltre dieci anni di India. Il bagno, nel chiarore dell’alba, dei “naga sadhu”, i santoni coperti di cenere
e di ghirlande arancioni, e’ di sicuro la mia “foto dell’anno”. Ha riscattato la fatica di sgomitare tra
milioni di persone invasate.
Poi c’e’ stato il
Bangladesh e le fabbriche tessili degli “orrori”. Il 24 aprile il Rana Plaza,
un palazzo di nuova costruzione alla
periferia di Dacca, si e’ accasciato su se stesso uccidendo oltre mille
operai . Una tragedia causata dall'uomo immane, seconda solo a quella della fabbrica di pesticidi di Bhopal. Non penso che da
allora sia cambiato qualcosa in termini di controlli e messa in sicurezza degli
edifici. Ma la sciagura ha fatto
scoprire al mondo intero che un operaio bengalese prende circa 30 euro al mese
per cucire le nostre magliette. Per un po’ i media si sono vergognati, ma poi la
notizia e’ finita in secondo piano. E l’industria tessile del Bangladesh
continua a esportare piu’ che mai, soprattutto ora che c’e’ crisi e le aziende
cercano piu’ profitti.
Sono stata a
Dacca una ventina di giorni e oltre al
tessile mi sono occupata delle concerie di Hazaribag E’ stato di sicuro il soggetto che mi ha piu’
appassionato perche’ non penso di aver mai visto delle condizioni di lavoro
piu’ disumane in un ambiente piu’
malsano per i lavoratori e anche per chi abita questo quartiere nella vecchia
Dacca. Ho scattato decine di foto, ho scoperto che meta’ delle
concerie-lager producono per le firme italiane (ovviamente non c’e’ l’etichetta,
perche’ qui comprano solo la pelle) e ho parlato con i bambini che ci lavorano.
A parte la Radio Svizzera, sempre attenta ai grandi temi internazionali, il Bangladesh
e i suoi orrori non hanno sollevato la
minima attenzione e cosi’ nessuno ha pubblicato i miei reportage. Forse, perche' non si
puo’ dire da dove arriva la pelle delle famose borse e scarpe Made in Italy.
Anche nel vicino
Pakistan e’ stato un anno di grandi avvenimenti. In primavera e’ tornato l’ex
generale Pervez Musharraf e quasi subito si e' reso conto di aver fatto un errore clamoroso perche’ poco dopo e’ stato messo
agli arresti domiciliari. Le elezioni dell'11 maggio hanno visto l’uscita di scena del partito
dei Bhutto e il ritorno del conservatore
e industriale Nawaz Sharif, considerato un amico degli islamici e quindi un
potenziale partner per gli accordi di pace, sia a ovest che a est con l’India.
Peccato che a novembre quando il governo ha iniziato
il dialogo, un drone della Cia ha ucciso il leader del Ttp, Hakimullah
Mehsud, uno dei “guerrieri” dei Waziristan. E cosi’ siamo di nuovo da capo, non si capisce ora chi comanda e soprattutto non
e’ piu’ chiaro da che parte stanno i “talebani cattivi”. E – cosa piu’ importante – non si capisce piu’
da che parte sta l’esercito, che alla fin dei conti, e’ il vero “decision maker”
delle sofferte vicende pachistane.
Anche in India
sembra che stia per uscire di scena un
altro partito-famiglia, quello dei Gandhi. L’italo italiana Sonia, che di nuovo
durante l’estate e’ stata ricoverata per
la sua “misteriosa”malattia, sembra definitivamente sul viale del tramonto
insieme al suo premier economista, l'anziano Manmohan Singh. Nel nord dell’India spira forte il
vento del cambiamento cavalcato da Narendra Modi, il falco della destra tanto
amato dagli industriali. Le ultime
elezioni a New Delhi hanno visto la nascita di un terzo incomodo, il partito
del “jharu” ( la ramazza di paglia) guidato da Arvind Kejriwal. E’ espressione di quel
fenomeno mondiale dell’antipolitica che sta facendo piazza pulita delle vecchie
classi dirigenti. Vedremo se nelle elezioni politiche di maggio il “grillo”
indiano ce la fara’ a rompere il tradizionale bipolarismo.
Ma sul Congresso, bisogna stare attenti a
fare previsioni. L’elettorato dell’India profonda, quella che nessun sondaggio
riesce a intercettare, potrebbe dare fiducia a Rahul Gandhi che la stampa
indiana considera un immaturo senza carisma.
Ma lui e’ pur sempre un Gandhi e nel 2004, all’apice del successo economico
stile Bjp, proprio questo magico nome riusci’ a riportare al potere la storica
dinastia di Jawaharlal Nehru salvata da una veneta chiamata Antonia Maino.