Sunburn Goa - Addio hippies, arrivano gli yuppies indiani

Panjim (Goa), 30 dicembre 2013

La Goa dei "figli dei fiori" e' definitivamente tramontata e gli yuppies indiani stanno oggi soppiantando i vecchi hippies.  Sto scorrazzando da alcuni giorni sulle spiagge di Nord Goa, paradiso delle droghe e della musica trance.  A parte la dominazione dei turisti russi e degli inglesi (che ancora tengono duro) sono praticamente spariti gli europei.  Gli italiani pure sono scomparsi, a parte qualche vecchio fricchettone ormai fuori contesto.
Il "celebre" Sunburn, mega  festival della musica elettronica che si vanta di essere il piu' grande dell'Asia e che quest'anno si e' tenuto a Vagator, e' diventato un evento  super commerciale e una macchina per far soldi. L'ingresso, ieri ultimo giorno, era sulle 6 mila rupie e per le zone Vip, recinti protetti da gorilla, era anche di piu'.  E poi vanno aggiunte le consumazioni e gli after party.
Sono arrivata alle 20 di sera, tre ore prima della chiusura, quando l'affluenza era al massimo. Ci saranno stati 50 mila ragazzi scatenati, ma neppure troppo per il tipo di musica e per l'ambiente.  Il governo di Goa, diventato molto severo per droghe e altre "volgarita'", ha una politica di tolleranza zero per le droghe.  L'altro ieri hanno beccato uno spacciatore e la notizia ha fatto scandalo...
Non so come erano le  precedenti sei edizioni dei Sunburn festival, ma i "ravers" che ho visto sono giovani ricchi di Mumbai, Delhi e Bangalore che vengono qui per divertirsi, proprio come un italiano va a Rimini o Riccione. Indumenti griffati, macchine potenti e moltissimi con il borsalino in testa, ultima tendenza di moda, e guarda casp simbolo della classse agiata.
Insomma gli indiani si stanno "riappropriando" di Goa, giustamente si puo' dire, ma per farne una Costa Smeralda, lussuosa e esclusiva, certo per una piccolissima minoranza, ma quella che conta.

Addio 2013 - Dai maro' al partito della ramazza che ha spazzato via Sonia Gandhi

Palolem (Goa), 24 dicembre 2013

Non mi posso certo lamentare. Il 2013 e’ stato un anno ricco di notizie per l’India e la regione sud asiatica. E ho avuto la fortuna di poterle raccontare direttamente, nonostante l’ottusita’ a  volte dei colleghi in Italia che continuano a ignorare questa regione e nonostante la crisi del giornalismo tradizionale ormai cancellato dalla velocita’ della Rete.
Ovviamente la vicenda dei maro’ Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in liberta’ provvisoria all’ambasciata d’Italia a New Delhi, ha tenuto banco. Il ritorno dall’hotel-prigione di Fort Kochi dopo la sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio e’ stato salutato come una vittoria. Con il senno di poi, si potrebbe dire che sono caduti dalla padella alla brace. Sono ancora in attesa di processo e come se non bastasse indagati da una polizia anti terrorismo National Invesigation Agency (Nia) che puo’ applicare soltanto leggi anti terrorismo che prevedono la pena di morte. Come l’India - che ha garantito che non sara’ applicata la forca - ne uscira’ da questo impasse, e’ tuttoggi un mistero.
I maro’ hanno causato anche uno dei piu’ gravi incidenti diplomatici che l’India abbia mai avuto con un Paese europeo quando l’ex ministro Giulio Terzi ha deciso di non rispedirli indietro dopo la licenza elettorale a febbraio. Sono stati giorni tesissimi per tutti noi italiani in India. Le ritorsioni sarebbero state molto pesanti. E per questo il governo ha capitolato con un effetto che e’ stato forse peggiore di quello di non mantenere fede alla promessa fatta alla Corte Suprema sul ritorno entro il 22 marzo. Adesso, detto in parole povere, New Delhi “ci tiene per le palle”.
Il 2013 e’ stato l’anno delle donne indiane e della battaglia per i loro diritti. Tutto e’ iniziato dalla orribile storia di Jyoti Singh Pandey, soprannominata “Nirbhaya”,  stuprata il 16 dicembre 2012 su un autobus e morta nove giorni dopo. Per settimane i giornali non hanno parlato d’altro e per il perverso effetto mediatico, ogni violenza e’ diventata una notizia da prima pagina, mentre prima non meritava manco un paio di righe.  Cosi’ l’India si e’ accorta di essere un Paese da incubo per le donne, il turismo femminile e’  crollato e il governo ha risposto con una legge forcaiola. Nove mesi dopo gli stupratori di Jyoti sono stati condannati al patibolo, soltanto uno ha scampato l’impiccagione perche’ era minorenne all’epoca del fatto.   Temo che le orripilanti descrizioni delle torture con una sbarra di ferro e dello sfondamento dell’intestino abbiano scatenato un effetto imitazione per i giovani indiani  che dopo anni di repressione hanno scoperto la pornografia grazie agli smartphone e al broadband. A marzo una donna svizzera, che faceva campeggio con il marito, e’  stata violentata da un branco di giovani in Madhya Pradesh.  Forse la pensava come me, che l’India e’  uno dei posto piu’ sicuri del mondo. Purtroppo anche io ho dovuto cambiare idea quest’anno dopo un paio di esperienze negative durante i miei viaggi in cui sono stata molestata o oggetto di sguardi luridi anche da parte di ragazzini. Per queste cose, la forca non serve, basta chiudere i siti porno.
Per la prima volta mi sono immersa nel mondo degli scrittori, al famoso festival della Letteratura di Jaipur, un happening mondiale, colorato e caleidoscopio di idee alternative che ogni anno si organizza nella citta' rosa del Rajasthan.  Ho intervistato Ben Jelloun sulla primavera araba e disquisito dei mercanti veneziani con l’ex giornalista Andrea Di Robilant.
Il Khumb Mela,  il mega raduno religioso di Allahabad, e’ stato di sicuro uno degli avvenimenti piu’ emozionanti a cui ho assistito nei mie oltre dieci anni di India. Il bagno, nel chiarore dell’alba,  dei “naga sadhu”, i santoni coperti di cenere e di ghirlande arancioni, e’ di sicuro la mia “foto dell’anno”.  Ha riscattato la fatica di sgomitare tra milioni di persone invasate.
Poi c’e’ stato il Bangladesh e le fabbriche tessili degli “orrori”. Il 24 aprile il Rana Plaza, un palazzo di nuova costruzione alla  periferia di Dacca, si e’ accasciato su se stesso uccidendo oltre mille operai . Una tragedia causata dall'uomo immane, seconda solo a quella della fabbrica di pesticidi di Bhopal. Non penso che da allora sia cambiato qualcosa in termini di controlli e messa in sicurezza degli edifici.  Ma la sciagura ha fatto scoprire al mondo intero che un operaio bengalese prende circa 30 euro al mese per cucire le nostre magliette. Per un po’ i media si sono vergognati, ma poi la notizia e’ finita in secondo piano. E l’industria tessile del Bangladesh continua a esportare piu’ che mai, soprattutto ora che c’e’ crisi e le aziende cercano piu’ profitti.
Sono stata a Dacca una ventina di giorni e oltre al  tessile mi sono occupata delle concerie di Hazaribag   E’ stato di sicuro il soggetto che mi ha piu’ appassionato perche’ non penso di aver mai visto delle condizioni di lavoro piu’ disumane in  un ambiente piu’ malsano per i lavoratori e anche per chi abita questo quartiere nella vecchia Dacca. Ho scattato decine di foto, ho scoperto che meta’ delle concerie-lager producono per le firme italiane (ovviamente non c’e’ l’etichetta, perche’ qui comprano solo la pelle) e ho parlato con i bambini che ci lavorano. A parte la Radio Svizzera, sempre attenta ai grandi temi internazionali, il Bangladesh e i suoi orrori non  hanno sollevato la minima attenzione e cosi’ nessuno ha pubblicato i miei reportage. Forse, perche' non si puo’ dire da dove arriva la pelle delle famose borse e scarpe Made in Italy.
Anche nel vicino Pakistan e’ stato un anno di grandi avvenimenti. In primavera e’ tornato l’ex generale Pervez Musharraf e quasi subito si e' reso conto di aver fatto un errore clamoroso perche’ poco dopo e’ stato messo agli arresti domiciliari. Le elezioni dell'11 maggio hanno visto l’uscita di scena del partito dei  Bhutto e il ritorno del conservatore e industriale Nawaz Sharif, considerato un amico degli islamici e quindi un potenziale partner per gli accordi di pace, sia a ovest che a est con l’India. Peccato che a novembre quando il governo ha iniziato  il dialogo, un drone della Cia ha ucciso il leader del Ttp, Hakimullah Mehsud, uno dei “guerrieri” dei Waziristan. E cosi’ siamo di nuovo da capo, non  si capisce ora chi comanda e soprattutto non e’ piu’ chiaro da che parte stanno i “talebani cattivi”.  E – cosa piu’ importante – non si capisce piu’ da che parte sta l’esercito, che alla fin dei conti, e’ il vero “decision maker” delle sofferte vicende pachistane.    

Anche in India sembra che stia  per uscire di scena un altro partito-famiglia, quello dei Gandhi. L’italo italiana Sonia, che di nuovo durante l’estate e’  stata ricoverata per la sua “misteriosa”malattia, sembra definitivamente sul viale del tramonto insieme al suo premier economista, l'anziano Manmohan Singh. Nel nord dell’India spira forte il vento del cambiamento cavalcato da Narendra Modi, il falco della destra tanto amato dagli industriali.  Le ultime elezioni a New Delhi hanno visto la nascita di un terzo incomodo, il partito del “jharu” ( la ramazza di paglia) guidato da  Arvind Kejriwal. E’ espressione di quel fenomeno mondiale dell’antipolitica che sta facendo piazza pulita delle vecchie classi dirigenti. Vedremo se nelle elezioni politiche di maggio il “grillo” indiano ce la fara’ a rompere il tradizionale bipolarismo.  
Ma sul Congresso, bisogna stare attenti a fare previsioni. L’elettorato dell’India profonda, quella che nessun sondaggio riesce a intercettare, potrebbe dare fiducia a Rahul Gandhi che la stampa indiana considera un immaturo senza carisma.  Ma lui e’ pur sempre un Gandhi e nel 2004, all’apice del successo economico stile Bjp, proprio questo magico nome riusci’ a riportare al potere la storica dinastia di Jawaharlal Nehru salvata da una veneta chiamata Antonia Maino.  

Non solo Tehelka/ Due terzi delle giornaliste hanno subito molestie sessuali

New Delhi, 2 dicembre 2013

Tanto per confermare quanto detto nell'ultimo post su Tehelka e il maschilismo nelle redazioni, ecco qui un sondaggio in cui si dice che un terzo delle giornaliste hanno subito intimidazioni, abusi o minacce, incluse molestie sessuali sul posto di lavoro:  http://www.iwmf.org/global-research-project-investigates-violence-against-women-journalists/
Ditemi un po' se non e' ora di dire basta.