New Delhi, 14 giugno 2013
In coincidenza con la visita dell'inviato speciale del governo Staffan de Mistura, la quinta dopo il drammatico ritorno dei maro', si e' tornato a parlare del caso che da 16 mesi monopolizza le relazioni fra India e Italia. In effetti sulla vicenda non si sa piu' nulla e non e' ben chiaro quale sia l'azione del nuovo governo Letta. L'unica decisione significativa e' stata quella di affidare la negoziazione a De Mistura, che da viceministro e' diventato ''inviato speciale''. Tra lui e il ministro degli Esteri Salman Khurshid c'e' una buona ''chemistry'', come si dice in inglese, e di fatti si vede dalle dichiarazioni distese di entrambi.
Il che non vuol dire che ci sara' pero' una soluzione breve per Latorre e Girone che si preparano a passare il loro secondo monsone in India. Come al solito c'e' molta ignoranza e disinformazione del caso nonostante i fiumi di inchiostro che si scrivono in Italia, compresi anche i libri-rivelazione del tipo ''tutto-quello-che-non-vi-hanno-detto''. Per quanto ne ho capito, vedendola da qui, la situazione e' la seguente :
1) Respingendo il ricorso italiano, il 26 aprile la Corte Suprema di New Delhi ha confermato l'incarico alla polizia anti terrorismo Nia (National Investigation Agency) come suggerito dal governo indiano. Perche' e' stata scelta la Nia? Non a caso. Perche' puo' invocare una legge contro la pirateria internazionale che permette all'India di processare sospetti terroristi o pirati anche in acque internazionali. Si chiama Sua Act ed ed e' una convenzione internazionale del 1988 all'epoca del sequestro dell'Achille Lauro. Per quanto assurdo possa sembrare, se si applica questo trattato, i due maro' sono da considerare come terroristi (e per il reato di omicidio e' prevista la pena di morte). Dopo molti tira e molla e anche molta confusione nel governo indiano, il 14 maggio De Mistura annuncia che ''non si usera' la legge anti terrorismo indiana''. Ma secondo gli stessi legali dei maro' non sarebbe possibile perche' nell'atto costitutivo della Nia c'e' scritto che puo' operare solo per casi di terrorismo. Come e' stata risolta l'impasse? Non si sa. O almeno nessuno finora lo ha spiegato (e nessuno osa chiedere). Sul website della Nia (vedi qui) il caso continua a essere registrato con la menzione del Sua (e con un errore relativo alla data del FIR della guardia costiera di Neendakara, che contiene la denuncia del pescatore Freddy).
2) Ancor prima della sentenza della Corte Suprema del 26 aprile, la Nia aveva iniziato le indagini. Da quanto mi risulta e' stato portato tutto il materiale a New Delhi, e cioe' le tutte le prove, come i fucili e i proiettili, che prima erano in custodia della polizia del Kerala. Tra le carte c'e' ovviamente la perizia balistica dove si dice che i proiettili trovati nei corpi di Jelastine e Ajesh Pinky sono stati sparati da due fucili seuquestrati sulla Lexie. E' indicato il numero di matricola, ma non viene detto a chi appartengono. Nelle casse arrivate a Delhi ci sono poi le altre cose prelevate a bordo della Lexie, tra cui il GPS (che non funzionava) e il registro di bordo.
I poliziotti della Nia hanno gia' esaminato il peschereccio S. Antony che nel frattempo e' stato tirato fuori dall'acqua nel porto di Neendakara, vicino a Kollam. E poi hanno interrogato Freddy Bosco e i nove pescatori che erano a bordo. Non e' trapelato nulla. Anche perche' e' un po' difficile per la stampa locale avere indiscrezioni dagli investigatori dell'anti terrorismo, che probabilmente agiscono da soli, senza aiuto della polizia locale.
3) Davanti alla Corte Suprema, con il giudice capo Altamas Kabir (che va in pensione a luglio) che si lamentava perche' il governo non aveva eseguito il suo ordine del 18 gennaio, il procuratore dello Stato indiano aveva detto che la Nia avrebbe completato le indagini in 60 giorni. Che sarebbe piu' o meno a fine giugno. Anche se gli interrogatori in Kerala sono andati veloci, questo termine non sara' rispettato. E si poteva anche immaginare che la promessa era da marinaio. Ci sono da sentire 60 testi, in teoria dovevano sentirne uno al giorno! Impossibile. A complicare le cose poi c'e' anche la richiesta di sentire gli altri quattro maro' come testimoni dell'accaduto. I colleghi di Latorre e Girone in servizio sulla Enrica Lexie non avrebbero pero' assistito all'incidente, almeno cosi' hanno detto alla Procura di Roma. Ma e' ovvio che la polizia indiana (e poi anche il giudice del processo ad hoc) vorra' sentirli per formulare i nuovi capi di imputazione. E qui sembra ci sia un nuovo braccio di ferro. Gli italiani non vogliono mandare in India gli altri quattro maro' (hanno paura che li arrestino?) e suggeriscono una videoconferenza. Non si capisce se tutto e' bloccato su questo ora. In realta' c'e' un obbligo che deriva da un ''impegno'' dell'armatore sottoscritto come condizione per il dissequestro della nave salpata da Kochi il 5 maggio dello scorso anno. All'epoca, due giudici della Corte Suprema (non Kabir) avevano dato l'ok alla partenza della Lexie ma aveva chiesto una fideiussione di 30 milioni di rupie (440 mila euro, forse oggi di meno grazie al cambio favorevole) consegnata all'Alta Corte del Kerala. In pratica l'armatore si impegnava a ''portare'' l'equipaggio in India se richiesto dai giudici con un preavviso di cinque settimane. Non solo gli uomini, ma anche la nave! (quest'ultima con un preavviso di sette settimane). Questo non e' un accordo segreto ma sono lettere firmate (e garanzie bancarie) come quella sottoscritta dall'ambasciatore Daniele Mancini dopo il permesso per le elezioni. (vedi qui).
Quindi in teoria, ci sarebbe un obbligo che pero' non e chiaro come possa essere esteso anche ai quattro maro' dal momento che non dipendono dall'armatore, la ''Dolphin Tanker'' filiale indiana della Fratelli Luigi d'Amato.
4) Insomma i tempi - nonostante gli sforzi di Roma - si allungano. Anche se ora, grazie alla buona volonta di Khurshid (che va sottolineato e' agli Esteri non all'Interno) accelerano le indagini Nia, poi c'e' il processo e li' dipende dai giudici...Quando iniziera' il procedimento nel tribunale ad hoc? Forse in autunno, forse il prossimo anno. Boh. Nessuno fa previsioni ormai.
5) Un'ultima incognita riguarda la faccenda della giurisdizione. Per un anno l'Italia si e' battuta su questo principio arrivando a rallentare il processo in Kerala. Perche' adesso lo hanno abbandonato? Perche' non continuare a presentare ricorsi alla Corte Suprema oppure al tribunale ad hoc? Sembra che abbiano ormai accettato di buon grado il processo e quindi la competenza indiana. Perche' non continuare a battersi per un principio di diritto internazionale marittimo che e' condiviso anche da molti partner dell'India?
In coincidenza con la visita dell'inviato speciale del governo Staffan de Mistura, la quinta dopo il drammatico ritorno dei maro', si e' tornato a parlare del caso che da 16 mesi monopolizza le relazioni fra India e Italia. In effetti sulla vicenda non si sa piu' nulla e non e' ben chiaro quale sia l'azione del nuovo governo Letta. L'unica decisione significativa e' stata quella di affidare la negoziazione a De Mistura, che da viceministro e' diventato ''inviato speciale''. Tra lui e il ministro degli Esteri Salman Khurshid c'e' una buona ''chemistry'', come si dice in inglese, e di fatti si vede dalle dichiarazioni distese di entrambi.
Il che non vuol dire che ci sara' pero' una soluzione breve per Latorre e Girone che si preparano a passare il loro secondo monsone in India. Come al solito c'e' molta ignoranza e disinformazione del caso nonostante i fiumi di inchiostro che si scrivono in Italia, compresi anche i libri-rivelazione del tipo ''tutto-quello-che-non-vi-hanno-detto''. Per quanto ne ho capito, vedendola da qui, la situazione e' la seguente :
1) Respingendo il ricorso italiano, il 26 aprile la Corte Suprema di New Delhi ha confermato l'incarico alla polizia anti terrorismo Nia (National Investigation Agency) come suggerito dal governo indiano. Perche' e' stata scelta la Nia? Non a caso. Perche' puo' invocare una legge contro la pirateria internazionale che permette all'India di processare sospetti terroristi o pirati anche in acque internazionali. Si chiama Sua Act ed ed e' una convenzione internazionale del 1988 all'epoca del sequestro dell'Achille Lauro. Per quanto assurdo possa sembrare, se si applica questo trattato, i due maro' sono da considerare come terroristi (e per il reato di omicidio e' prevista la pena di morte). Dopo molti tira e molla e anche molta confusione nel governo indiano, il 14 maggio De Mistura annuncia che ''non si usera' la legge anti terrorismo indiana''. Ma secondo gli stessi legali dei maro' non sarebbe possibile perche' nell'atto costitutivo della Nia c'e' scritto che puo' operare solo per casi di terrorismo. Come e' stata risolta l'impasse? Non si sa. O almeno nessuno finora lo ha spiegato (e nessuno osa chiedere). Sul website della Nia (vedi qui) il caso continua a essere registrato con la menzione del Sua (e con un errore relativo alla data del FIR della guardia costiera di Neendakara, che contiene la denuncia del pescatore Freddy).
2) Ancor prima della sentenza della Corte Suprema del 26 aprile, la Nia aveva iniziato le indagini. Da quanto mi risulta e' stato portato tutto il materiale a New Delhi, e cioe' le tutte le prove, come i fucili e i proiettili, che prima erano in custodia della polizia del Kerala. Tra le carte c'e' ovviamente la perizia balistica dove si dice che i proiettili trovati nei corpi di Jelastine e Ajesh Pinky sono stati sparati da due fucili seuquestrati sulla Lexie. E' indicato il numero di matricola, ma non viene detto a chi appartengono. Nelle casse arrivate a Delhi ci sono poi le altre cose prelevate a bordo della Lexie, tra cui il GPS (che non funzionava) e il registro di bordo.
I poliziotti della Nia hanno gia' esaminato il peschereccio S. Antony che nel frattempo e' stato tirato fuori dall'acqua nel porto di Neendakara, vicino a Kollam. E poi hanno interrogato Freddy Bosco e i nove pescatori che erano a bordo. Non e' trapelato nulla. Anche perche' e' un po' difficile per la stampa locale avere indiscrezioni dagli investigatori dell'anti terrorismo, che probabilmente agiscono da soli, senza aiuto della polizia locale.
3) Davanti alla Corte Suprema, con il giudice capo Altamas Kabir (che va in pensione a luglio) che si lamentava perche' il governo non aveva eseguito il suo ordine del 18 gennaio, il procuratore dello Stato indiano aveva detto che la Nia avrebbe completato le indagini in 60 giorni. Che sarebbe piu' o meno a fine giugno. Anche se gli interrogatori in Kerala sono andati veloci, questo termine non sara' rispettato. E si poteva anche immaginare che la promessa era da marinaio. Ci sono da sentire 60 testi, in teoria dovevano sentirne uno al giorno! Impossibile. A complicare le cose poi c'e' anche la richiesta di sentire gli altri quattro maro' come testimoni dell'accaduto. I colleghi di Latorre e Girone in servizio sulla Enrica Lexie non avrebbero pero' assistito all'incidente, almeno cosi' hanno detto alla Procura di Roma. Ma e' ovvio che la polizia indiana (e poi anche il giudice del processo ad hoc) vorra' sentirli per formulare i nuovi capi di imputazione. E qui sembra ci sia un nuovo braccio di ferro. Gli italiani non vogliono mandare in India gli altri quattro maro' (hanno paura che li arrestino?) e suggeriscono una videoconferenza. Non si capisce se tutto e' bloccato su questo ora. In realta' c'e' un obbligo che deriva da un ''impegno'' dell'armatore sottoscritto come condizione per il dissequestro della nave salpata da Kochi il 5 maggio dello scorso anno. All'epoca, due giudici della Corte Suprema (non Kabir) avevano dato l'ok alla partenza della Lexie ma aveva chiesto una fideiussione di 30 milioni di rupie (440 mila euro, forse oggi di meno grazie al cambio favorevole) consegnata all'Alta Corte del Kerala. In pratica l'armatore si impegnava a ''portare'' l'equipaggio in India se richiesto dai giudici con un preavviso di cinque settimane. Non solo gli uomini, ma anche la nave! (quest'ultima con un preavviso di sette settimane). Questo non e' un accordo segreto ma sono lettere firmate (e garanzie bancarie) come quella sottoscritta dall'ambasciatore Daniele Mancini dopo il permesso per le elezioni. (vedi qui).
Quindi in teoria, ci sarebbe un obbligo che pero' non e chiaro come possa essere esteso anche ai quattro maro' dal momento che non dipendono dall'armatore, la ''Dolphin Tanker'' filiale indiana della Fratelli Luigi d'Amato.
4) Insomma i tempi - nonostante gli sforzi di Roma - si allungano. Anche se ora, grazie alla buona volonta di Khurshid (che va sottolineato e' agli Esteri non all'Interno) accelerano le indagini Nia, poi c'e' il processo e li' dipende dai giudici...Quando iniziera' il procedimento nel tribunale ad hoc? Forse in autunno, forse il prossimo anno. Boh. Nessuno fa previsioni ormai.
5) Un'ultima incognita riguarda la faccenda della giurisdizione. Per un anno l'Italia si e' battuta su questo principio arrivando a rallentare il processo in Kerala. Perche' adesso lo hanno abbandonato? Perche' non continuare a presentare ricorsi alla Corte Suprema oppure al tribunale ad hoc? Sembra che abbiano ormai accettato di buon grado il processo e quindi la competenza indiana. Perche' non continuare a battersi per un principio di diritto internazionale marittimo che e' condiviso anche da molti partner dell'India?
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