Mentre in Uttarakhand, alle sorgenti del sacro Gange, c’erano migliaia di persone intrappolate dalle alluvioni e c’era un fuggi fuggi generale dalle vallate himalayane, sono partita per il Ladakh. Sono stata fortunata, perché’ come sempre dopo (e prima) la tempesta c’è sempre la quiete. Ho visto l’Himalaya in tutto il suo splendore e anche candore, giacché quest’anno è nevicato fino ad aprile e quindi erano ancora tutte incappucciate di bianco.
Io e mia figlia abbiamo deciso di andare a Manali e poi da li’ decidere in base alla situazione meteo e i disastri creati dallo ‘tsunami himalayano’ come lo hanno soprannominato i media. E così siamo finite a Srinagar, in Kashmir ...dieci giorni dopo con una cavalcata ‘’on the road’’ fantastica di mille chilometri sulle strade – per me – più belle del mondo.
Non mi piace andare in fretta, sono una adepta dello ‘’slow travelling’’ ma dovevamo tornare a Delhi per una certa data. Poiché tutto sommato è andata bene, siamo sopravvissute al tour de force, ci siamo divertite e abbiamo fatto una grande quantità di cose con un budget limitato, ho pensato di raccontarlo a mo’ di guida di viaggio: dal Ladakh al Kashmir – Manali-Leh-Srinagar – 900 chilometri in dieci giorni attraverso un paio di valichi di oltre 5 mila metri e altri due di oltre 4 mila metri .
Giorno 1 - Delhi - Manali Il bus parte da Majnu Katila, la comunità tibetana a nord di Delhi. Ci siamo presentate già con scarponi, giaccone e zaino. La partenza era prevista alle 17, ma il bus è arrivato un ‘ora e mezza dopo. Giusto il tempo per un piatto di momo, tanto per familiarizzare un po’ con il cibo che si mangerà nei prossimi giorni e una girata alle ruote delle preghiere, che porta sempre bene.
Giorno 2 - Manali
Il bus, uno ‘’semi sleeper’’ (vuol dire che si abbassano le poltrone) era comodo, e come sempre gli stranieri sono privilegiati, li mettono ai primi posti dove si può allungare le gambe. In piu’ avevo anche il diritto a caricare il telefonino nel cruscotto dell’autista. Siamo arrivate alle sette e ci ha subito aggredito la calca di Manali, che purtroppo a questa stagione di ferie indiane è piu’ trafficata (e inquinata) di Delhi. Manali deve il suo nome a Manu, il ‘’Noè indiano’’ che sarebbe sbarcato proprio qui durante il Diluvio Universale.
A piedi abbiamo fatto, dribblando il traffico, quattro chilometri, fino a salire al villaggio di Vashisth, un gioiellino che per fortuna e’ rimasto (quasi) intatto allo sviluppo edilizio.
Giorno 3 Vashisth
Uno delle chicche di Vashisht sono le acque termali che sgorgano dentro un vecchio tempio. I residenti, in due separati locali, li usano per lavarsi. Ma l’acqua è così calda che non ci si può immergersi! La vita qui scorre calma, tra mucche al pascolo e i contadini che sono impegnati con la mietitura, in questa stagione. Le stoppie poi le devono schiacciare per sistemarle nel fienile. Alcuni li mettono sull’asfalto, dove lasciano alle macchine e camion il lavoro. A qualche chilometro c’è anche una cascata, con un sentiero in mezzo a una pineta, posti carini, dove prendere un chai. E’ perfetto insomma. Alloggiamo in una bella guest house, View Valley, a 600 rupie.
Facciamo anche un fuori programma, in moto, a Naggar, a circa trenta chilometri, dove visse il famoso pittore russo Nicholas Roerich.
Alla sera si va a trovare Rosalba che ha un ristorante all’ingresso del Paese e che è la madre di un campione di bob. Una storia incredibile che avevo scritto per l’ANSA (vedi qui)
Giorno 4 - Manali- Leh L’idea iniziale era di andarci in Royal Enfield, una cosa molto ‘’macho’’, ma poi non sono riuscita a trovare delle moto. Sembra che quest’anno tutti vadano con la Enfield in Ladakh. Ovviamente per me che sono da sola, donna (quindi inaffidabile secondo la maggior parte degli affittamoto) e per di più con una figlia appresso, non c’era nulla a parte qualche ferrovecchio, La risposta piu’ gentile è stata ‘’perché non affitti uno ‘’scooty’’ per andare a fare in giro qui intorno’’. Quindi non rimaneva che il pulmino. I prezzi sono alle stelle quest’anno, 2000 rupie a testa, ma sono 500 chilometri di una delle strade più avventurose del mondo. Si parte alle due di notte e all’alba si scende dal Rohtang Pass (3.980 metri), poi c’è il Baracha-La a 5.300 metri e 18 chilometri di serpentina. Un altipiano deserto di 40 chilometri che sembra di essere sulla luna e poi il Tanglang-La (5.328 metri). Raccattiamo anche due ragazzi che hanno rotto la moto e che si siedono per terra tra i sedili. Al tramonto, dopo sedici ore, un’infinita serie di soste e un forte mal di testa, si intravedono i primi segni di presenza umana alla fine di un canyon che sbuca nella valle dell’Indo. Leh e’ vicina. E’ fatta. La tensione si scioglie e a bordo tutti applaudono.
Giorno 5 – Leh Purtroppo Leh sta diventando una metropoli e non ci si può fare nulla. Io me la ricordo la prima volta che ci sono stata nel 2006. Stiamo a Changspa, che e’ il ghetto turistico, affollato, ma pieno di comodità. Stiamo in una delle tante guesthouse a conduzione familiare in una casa con il giardino, nella camera più bella, tutta vetri, piena di tappeti e l’arredo tibetano. Si visita Shani Stupa, il palazzo reale e più in alto il mitico Tzemo, il vecchio castello sul cucuzzolo. C’è un ingresso di 40 rupie per entrare e fare il giro nella balconata piena di bandierine colorate tibetane. Ci arriviamo in modo anomalo dal retro trascinando le bici che abbiamo affittato. Da lì si scende a rotta di collo fino al vecchio bazar dove – per fortuna – ancora è tutto intatto comprese le trattorie dove mangiare momo o tupka, zuppa di noodles.
Giorno 6 - Leh- Spituk
Affitto una Pulsar e vado un po’ a zonzo lungo l’Indo per impratichirmi un po’ e poi perché è tutto in piano. Passando per una stradina lungo risaie e totem di sabbia arrivo alla gompa di Spituk che è quella più vicina a Leh.
Giorno 7 - Leh – Lamayuru Si parte in moto con l’idea di fare tutti i 500 chilometri della Leh-Srinagar, ma i ladakhi non accettano che io lasci la moto in Kashmir, e quindi la dovrò lasciare a Lamayuru, che secondo me è uno dei più belli tra i monasteri del Ladakh. Ci si arriva seguendo l’Indo che è di un azzurro pastello e dove ogni tanto, si vedono dei gommoni da rafting. Ci fermiamo in un’insenatura, vorrei fare il bagno, ma è ghiacciato...
A metà strada c’è Alchi, che e’ l’unico monastero in basso e anche quello più antico e con più affreschi. Sembra ormai un museo più che un monastero.
Giorno 8 – Lamayuru
Purtroppo i segni dell’alluvione dell’agosto 2010 sono ancora molto visibili. Parte del villaggio sembra essere stato spazzato via da frane. Hanno piantato alcuni alberi per trattenere il terreno. Intorno a Lamayuru c’e’ un deserto dai colori ocra e le rocce appuntite che si chiama ‘’Moonland’’ e che era probabilmente un lago.
E’ appena terminato un festival e tutto il Paese è pieno di bandierine. C’è una lotteria su un campetto sportivo, sembra che tuttala vallata si sia radunata qui. Ho l’occasione di vedere i vestiti tradizionali, le palandrane lunghe con degli scialli di pelo di yak e gli ornamenti di turchesi e corallo. Stiamo in una gest-house, Temple View, che è ormai a pezzi. Me la ricordavo meglio, ma non ci sono molti posti dove dormire. C’è internet, anche, in una specie di sgabuzzino dove c’è un gigantesco server e ogni tipo di cianfrusaglie. Tutti gli stranieri di Lamayuru sono qui con I-pad e telefonini
Giorno 9 – Lamayuru-Srinagar Il bus per Srinagar (12 ore) passa alle 17,ma non lo prendiamo perché’ costa troppo. Prendiamo un passaggio da un pulmino fino a Kargil attraverso il Fotu-La ( 4.108 metri) che poi mi fa pagare e quindi tanto valeva. Viaggiamo di notte in una strada, forse peggiore della Manali-Leh che attraverso il Zoji-La (3.528) . Nel dormiveglia su un bus scassatissimo che salta come un cavallo imbizzarrito, vedo che ci sono due costoni di ghiaccio. Drass è il posto più freddo dell’India. All’alba siamo ormai in Kashmir, è di nuovo verde e compaiono delle case. Srinagar è blindata dall’ennesimo sciopero dei separatisti e poi perché’ arriva il premier Manmohan Singh e la leader del Congresso Sonia Gandhi.
Giorno 10 – Srinagar
Alloggiamo in una catapecchia allucinante, a Dal Gate, dove ci sono le houseboat, che sembra che venga giù da un momento all’altro. Il prezzo, 200 rupie è allettante e poi i fratelli che la gestiscono sono simpaticissimi. il ‘’roof top’’ è indescrivibile praticamente un sottotetto e ci si arriva su delle assi pericolanti. Il tetto del bagno è sfondato.
Incontro un giovane antropologo, Simone Mestroni, che ha passato qui due anni e che ha appena scritto una interessantissima tesi di dottorato all’università di Messina che si intitola ‘’Separatismo kashmiri: genealogie, pratiche, immaginari’’.
La guesthouse ci affitta una barchetta, anche questa malandata, con cui raggiungiamo il centro del lago, dove ci sono i barconi fissi usati per fare ‘’sci d’acqua’’. E’ divertente perché è sempre come lo avevo visto una decina di anni fa quando ci sono venuta per la prima volta, su una tavola di legno...Faccio il bagno, ma ci sono moltissime alghe, è vero che il Dal Lake si sta atrofizzando.
Visita d’obbligo, nella vecchia Srinagar, alla ‘’tomba di Gesù’’, venerata fin dall’antichità dai mussulmani come tomba del profeta Gesu’. Riesco a rubare una foto di nascosto prima che il guardiano mi sorprenda. Cena nello storico Mughal Darbar dove si mangia i ‘’gustaba’’, specie di polpettoni alla carne di agnello con un sugo allo zenzero.
Io e mia figlia abbiamo deciso di andare a Manali e poi da li’ decidere in base alla situazione meteo e i disastri creati dallo ‘tsunami himalayano’ come lo hanno soprannominato i media. E così siamo finite a Srinagar, in Kashmir ...dieci giorni dopo con una cavalcata ‘’on the road’’ fantastica di mille chilometri sulle strade – per me – più belle del mondo.
Non mi piace andare in fretta, sono una adepta dello ‘’slow travelling’’ ma dovevamo tornare a Delhi per una certa data. Poiché tutto sommato è andata bene, siamo sopravvissute al tour de force, ci siamo divertite e abbiamo fatto una grande quantità di cose con un budget limitato, ho pensato di raccontarlo a mo’ di guida di viaggio: dal Ladakh al Kashmir – Manali-Leh-Srinagar – 900 chilometri in dieci giorni attraverso un paio di valichi di oltre 5 mila metri e altri due di oltre 4 mila metri .
Giorno 1 - Delhi - Manali Il bus parte da Majnu Katila, la comunità tibetana a nord di Delhi. Ci siamo presentate già con scarponi, giaccone e zaino. La partenza era prevista alle 17, ma il bus è arrivato un ‘ora e mezza dopo. Giusto il tempo per un piatto di momo, tanto per familiarizzare un po’ con il cibo che si mangerà nei prossimi giorni e una girata alle ruote delle preghiere, che porta sempre bene.
Giorno 2 - Manali
Il bus, uno ‘’semi sleeper’’ (vuol dire che si abbassano le poltrone) era comodo, e come sempre gli stranieri sono privilegiati, li mettono ai primi posti dove si può allungare le gambe. In piu’ avevo anche il diritto a caricare il telefonino nel cruscotto dell’autista. Siamo arrivate alle sette e ci ha subito aggredito la calca di Manali, che purtroppo a questa stagione di ferie indiane è piu’ trafficata (e inquinata) di Delhi. Manali deve il suo nome a Manu, il ‘’Noè indiano’’ che sarebbe sbarcato proprio qui durante il Diluvio Universale.
A piedi abbiamo fatto, dribblando il traffico, quattro chilometri, fino a salire al villaggio di Vashisth, un gioiellino che per fortuna e’ rimasto (quasi) intatto allo sviluppo edilizio.
Giorno 3 Vashisth
Uno delle chicche di Vashisht sono le acque termali che sgorgano dentro un vecchio tempio. I residenti, in due separati locali, li usano per lavarsi. Ma l’acqua è così calda che non ci si può immergersi! La vita qui scorre calma, tra mucche al pascolo e i contadini che sono impegnati con la mietitura, in questa stagione. Le stoppie poi le devono schiacciare per sistemarle nel fienile. Alcuni li mettono sull’asfalto, dove lasciano alle macchine e camion il lavoro. A qualche chilometro c’è anche una cascata, con un sentiero in mezzo a una pineta, posti carini, dove prendere un chai. E’ perfetto insomma. Alloggiamo in una bella guest house, View Valley, a 600 rupie.
Facciamo anche un fuori programma, in moto, a Naggar, a circa trenta chilometri, dove visse il famoso pittore russo Nicholas Roerich.
Alla sera si va a trovare Rosalba che ha un ristorante all’ingresso del Paese e che è la madre di un campione di bob. Una storia incredibile che avevo scritto per l’ANSA (vedi qui)
Giorno 4 - Manali- Leh L’idea iniziale era di andarci in Royal Enfield, una cosa molto ‘’macho’’, ma poi non sono riuscita a trovare delle moto. Sembra che quest’anno tutti vadano con la Enfield in Ladakh. Ovviamente per me che sono da sola, donna (quindi inaffidabile secondo la maggior parte degli affittamoto) e per di più con una figlia appresso, non c’era nulla a parte qualche ferrovecchio, La risposta piu’ gentile è stata ‘’perché non affitti uno ‘’scooty’’ per andare a fare in giro qui intorno’’. Quindi non rimaneva che il pulmino. I prezzi sono alle stelle quest’anno, 2000 rupie a testa, ma sono 500 chilometri di una delle strade più avventurose del mondo. Si parte alle due di notte e all’alba si scende dal Rohtang Pass (3.980 metri), poi c’è il Baracha-La a 5.300 metri e 18 chilometri di serpentina. Un altipiano deserto di 40 chilometri che sembra di essere sulla luna e poi il Tanglang-La (5.328 metri). Raccattiamo anche due ragazzi che hanno rotto la moto e che si siedono per terra tra i sedili. Al tramonto, dopo sedici ore, un’infinita serie di soste e un forte mal di testa, si intravedono i primi segni di presenza umana alla fine di un canyon che sbuca nella valle dell’Indo. Leh e’ vicina. E’ fatta. La tensione si scioglie e a bordo tutti applaudono.
Giorno 5 – Leh Purtroppo Leh sta diventando una metropoli e non ci si può fare nulla. Io me la ricordo la prima volta che ci sono stata nel 2006. Stiamo a Changspa, che e’ il ghetto turistico, affollato, ma pieno di comodità. Stiamo in una delle tante guesthouse a conduzione familiare in una casa con il giardino, nella camera più bella, tutta vetri, piena di tappeti e l’arredo tibetano. Si visita Shani Stupa, il palazzo reale e più in alto il mitico Tzemo, il vecchio castello sul cucuzzolo. C’è un ingresso di 40 rupie per entrare e fare il giro nella balconata piena di bandierine colorate tibetane. Ci arriviamo in modo anomalo dal retro trascinando le bici che abbiamo affittato. Da lì si scende a rotta di collo fino al vecchio bazar dove – per fortuna – ancora è tutto intatto comprese le trattorie dove mangiare momo o tupka, zuppa di noodles.
Giorno 6 - Leh- Spituk
Affitto una Pulsar e vado un po’ a zonzo lungo l’Indo per impratichirmi un po’ e poi perché è tutto in piano. Passando per una stradina lungo risaie e totem di sabbia arrivo alla gompa di Spituk che è quella più vicina a Leh.
Giorno 7 - Leh – Lamayuru Si parte in moto con l’idea di fare tutti i 500 chilometri della Leh-Srinagar, ma i ladakhi non accettano che io lasci la moto in Kashmir, e quindi la dovrò lasciare a Lamayuru, che secondo me è uno dei più belli tra i monasteri del Ladakh. Ci si arriva seguendo l’Indo che è di un azzurro pastello e dove ogni tanto, si vedono dei gommoni da rafting. Ci fermiamo in un’insenatura, vorrei fare il bagno, ma è ghiacciato...
A metà strada c’è Alchi, che e’ l’unico monastero in basso e anche quello più antico e con più affreschi. Sembra ormai un museo più che un monastero.
Giorno 8 – Lamayuru
Purtroppo i segni dell’alluvione dell’agosto 2010 sono ancora molto visibili. Parte del villaggio sembra essere stato spazzato via da frane. Hanno piantato alcuni alberi per trattenere il terreno. Intorno a Lamayuru c’e’ un deserto dai colori ocra e le rocce appuntite che si chiama ‘’Moonland’’ e che era probabilmente un lago.
E’ appena terminato un festival e tutto il Paese è pieno di bandierine. C’è una lotteria su un campetto sportivo, sembra che tuttala vallata si sia radunata qui. Ho l’occasione di vedere i vestiti tradizionali, le palandrane lunghe con degli scialli di pelo di yak e gli ornamenti di turchesi e corallo. Stiamo in una gest-house, Temple View, che è ormai a pezzi. Me la ricordavo meglio, ma non ci sono molti posti dove dormire. C’è internet, anche, in una specie di sgabuzzino dove c’è un gigantesco server e ogni tipo di cianfrusaglie. Tutti gli stranieri di Lamayuru sono qui con I-pad e telefonini
Giorno 9 – Lamayuru-Srinagar Il bus per Srinagar (12 ore) passa alle 17,ma non lo prendiamo perché’ costa troppo. Prendiamo un passaggio da un pulmino fino a Kargil attraverso il Fotu-La ( 4.108 metri) che poi mi fa pagare e quindi tanto valeva. Viaggiamo di notte in una strada, forse peggiore della Manali-Leh che attraverso il Zoji-La (3.528) . Nel dormiveglia su un bus scassatissimo che salta come un cavallo imbizzarrito, vedo che ci sono due costoni di ghiaccio. Drass è il posto più freddo dell’India. All’alba siamo ormai in Kashmir, è di nuovo verde e compaiono delle case. Srinagar è blindata dall’ennesimo sciopero dei separatisti e poi perché’ arriva il premier Manmohan Singh e la leader del Congresso Sonia Gandhi.
Giorno 10 – Srinagar
Alloggiamo in una catapecchia allucinante, a Dal Gate, dove ci sono le houseboat, che sembra che venga giù da un momento all’altro. Il prezzo, 200 rupie è allettante e poi i fratelli che la gestiscono sono simpaticissimi. il ‘’roof top’’ è indescrivibile praticamente un sottotetto e ci si arriva su delle assi pericolanti. Il tetto del bagno è sfondato.
Incontro un giovane antropologo, Simone Mestroni, che ha passato qui due anni e che ha appena scritto una interessantissima tesi di dottorato all’università di Messina che si intitola ‘’Separatismo kashmiri: genealogie, pratiche, immaginari’’.
La guesthouse ci affitta una barchetta, anche questa malandata, con cui raggiungiamo il centro del lago, dove ci sono i barconi fissi usati per fare ‘’sci d’acqua’’. E’ divertente perché è sempre come lo avevo visto una decina di anni fa quando ci sono venuta per la prima volta, su una tavola di legno...Faccio il bagno, ma ci sono moltissime alghe, è vero che il Dal Lake si sta atrofizzando.
Visita d’obbligo, nella vecchia Srinagar, alla ‘’tomba di Gesù’’, venerata fin dall’antichità dai mussulmani come tomba del profeta Gesu’. Riesco a rubare una foto di nascosto prima che il guardiano mi sorprenda. Cena nello storico Mughal Darbar dove si mangia i ‘’gustaba’’, specie di polpettoni alla carne di agnello con un sugo allo zenzero.