Tesori nascosti di Delhi/ La diga di Satpula

Mi chiedo quanti conoscano a New Delhi la ''diga di Satpula'', uno sbarramento a sette archi costruito da un sultano della dinastia Tuglak nel 1340 circa quindi in epoca mediovale. Una vera chicca da amanti della storia e delle curiosita' di Delhi, purtroppo completamente abbandonata.  Arrivarci e' facilissimo. E' di fronte agli enormi shopping mall di Saket e di fianco al Singhania Hospital, dove - ma non c'entra nulla - e' conservata sott'alcol la mia ovaia sinistra che mi hanno asportato nel 2004 per via di una strana ciste mai vista, quindi da collezionare.
    Come ho letto su un libro (''Delhi, 14 Historic Walks'' di Swapna Liddle) , la diga serviva a regolare l'afflusso di acqua nella citta' di Jahanpanah, una delle sette antiche citta' di Delhi. Le mura di questa citta' sono ancora visibili nella zona.  La moschea di Kirki (di cui avevo parlato qui) faceva parte del complesso, di cui non e' rimasto quasi nulla e sembra anche pochissime descrizioni storiche. O forse c'e' qualcosa ma e' sotto i centri commerciali.
Nessuno ovviamente da dell'esistenza di Satpula, manco quelli che ci abitano intorno. Da sopra c'e' un bel panorama, da una parte una enorme spianata verde (il letto del fiume?), mentre dall'altra i parallelepipedi di cemento costruiti negli ultimi due anni e diventati i templi dello shopping e divertimento. Il libro dice che qui c'era un laghetto sacro dove viveva un santo sufi. Io non ho esplorato molto perche' avevo un po' di timore ad addentrarmo nella vegetazione. Di fianco passa in effetti un canale di Delhi, forse lo stesso che passa nella mia colony di Safdarjung e a Defence Colony. Dei canali che sono fogne in realta' e sulle cui sponde vivono molti poveracci oltre che colonie di  maiali. E' davvero incredibile come nessuno si prenda cura di questi corsi d'acqua che - penso confluiscano - poi nella Yamuna.
A parte il canale-fogna, il paesaggio sembrava bucolico. Verso il tramonto e' passata una mandria di bufali, dei ragazzi giocavano a cricket e dei vecchi fumavano marijuana. Difficile davvero pensare di essere in mezzo a una metropoli di 18 milioni di abitanti.
 

Al Wal Mart ci sara' la pressa per l'olio di senape?


     Il giorno dopo il via libera ai supermercati stranieri sono andata a fare un giro all’Ina market, uno dei mercati alimentari del sud di New Delhi piu’ famosi, soprattutto tra i diplomatici e ricchi indiani. Era infatti li’ che si trovavano un tempo prodotti di ‘’contrabbando’’, come cereali Kellog, la pasta Barilla, i sottaceti e anche, sotto banco, il vino quando l’India era un’economia chiusa nella sfera sovietica. Poi le frontiere si sono aperte negli anni Novanta e i prodotti importati sono diventati piu’ diffusi. Ovviamente sempre a sud di Delhi e sempre in alcuni selezionati mercati, non ovunque. 
      Si chiama ‘’I.N.A.’’ da Indian National Airways, una compagnia aerea privata ai tempi degli inglesi. Di fatti accanto c’e’ il vecchio aeroporto di Delhi, oggi usato soltanto per il movimento dei leader come Sonia Gandhi e per ospiti.
     Anche se ormai si trova tutto anche in altri mercati, all’INA si va ancora per comprare le primizie, tipo gli asparagi oppure il pesce o vari crostacei . Basta soltanto superare il tanfo incredibile che soprattutto quando fa caldo e’ da svenimento. E non essere deboli di cuore a vedere sgozzare galline, mentre granchi saltellano nel rivoletto della fogna.  Avevano provato a introdurre norme di igiene, ma non ci sono riusciti e dopo un po’ tutto e’ tornato come prima.
    Mentre passeggiavo, senza una meta precisa, pensavo tra me e me che tutto questo presto finira’ quando al posto dell’INA market ci sara’ un bel Wal-Mart o Carrefour. Potrebbe essere non cosi’ lontana quella data.
    Dopo aver preso un ‘’rasmalai’’ (dolce di latte e pistacchi) mi sono imbattuta in un negozietto dove c’era una strana e rumorosa macchina che sputava fuori dei residui marrone cuoio che un operaio poi rimetteva dentro. Mai visto un aggeggio del genere (FOTO SOPRA). L’odore pungente mi ha fatto pensare che stavano producendo qualcosa di commestibile, ma non capivo. Ho quindi chiesto al negoziante e ho scoperto con mia grande meraviglia che stavano producendo olio di senape (‘’mustard oil’’), che e’ l’olio che tutti quanti, me compresa, usano per friggere. Pare che la senape (piante dai fiori gialli) in India cresca spontaneamente...In pratica, la macchina ingoiava i semi di senape (quelli neri) e li schiacciava per far uscire olio. Come una pressa per olive insomma. Sono rimasta attonita. Ecco a cinque minuti da casa, ancora una volta, l’India mi stupiva. Ho fatto un terzo grado al commerciante che pero’ non era molto loquace. Mi ha detto che si’, di solito, l’olio non lo fanno piu’ nei negozi e che ci vogliono tre chili di semi per un litro di olio. C’erano in effetti delle bottiglie di olio in vendita senza etichetta. 
     A casa poi scopro che l’olio di senape in Europa vendono in farmacia perche’ ha proprieta’ terapeutiche. Rido perche’ qui fanno lo stesso con l’olio di oliva, e’ in farmacia e si usa per i capelli. 
     Mi chiedo se Wal-Mart manterra’ il ‘’pressa senape’’, un pezzo da museo etnoarcheologico, o se troveremo al suo posto scaffali di olio d’oliva Carapelli.  Ieri sera, il primo ministro Manmohan Singh e’ andato in televisione a dire ai suoi connazionali che i supermercati stranieri sono necessari a ‘’salvare l’India’’ dalla crisi mondiale. E’ venuta l’ora delle ‘’tough decisions’’ ha detto.  Gia’ ed e’ anche scoccata la condanna dell’INA market.   

New Delhi, soldi e topi al Khan Market

   Non c'e' nulla fa fare, vivendo qui in India bisogna accettare la convivenza con i topi. Che piaccia o meno dobbiano renderci conto che dividiamo piu' o meno gli stessi spazi nella capitale e abbiamo gli stessi problemi di sovraffollamento. Ieri mi trovavo al Khan Market, l'ammasso di catapecchie chiamato la 'Fifth Avenue'' indiana per gli affitti da capogiro. Ero andata in un bugigattolo di un cambia soldi, nella parte piu' sfigata dove non ci sono ancora i negozi di lusso, per cambiare degli euro in rupie. Uno sgabuzzino che fuori vende ricariche per telefono ha una vera e propria banca nel retro. Cambiano tutte le monete del mondo e per qualsiasi importo. E non c'e' neppure una porta, ma un telo di plastica che ripara dal caldo e polvere.
    Durante l'operazione ho assistito a una scena che penso veramente solo in India sia possibile vedere. Tra diversi salamelecchi mi hanno fatto accomodare dentro il cubicolo, di due metri per due, dove c'e' una scrivania e un televore che trasmette cricket o Bollywood. Dopo aver allungato una banconota in euro, il tizio ha aperto il cassetto per darmi le rupie. A quel punto ho visto che ha esitato un attimo. Ha quindi tirato fuori tutto il cassetto e ha chiamato un inserviente che e' arrivato come un fulmine.
    Gli lancio uno sguardo stupita. Quando il cassetto mi passa davanti, vedo un topolino morto stecchito tra le mazzette di rupie. Avviene tutto come un lampo. Pochi secondi dopo il cassetto ritorna al suo posto ''liberato'' dall'intruso buttato in strada senza troppe cerimonie.
    Senza una parola, come se nulla fosse successo, il tizio conta le banconote e me le porge con un sorriso e un grazie. Rimango di stucco. Non oso contarle. Le ripongo in una tasca della borsa. Ringrazio ed esco cercando di non guardare sul marciapiede alla ricerca del povero roditore.

Trecento operai pachistani bruciati vivi, qualcuno si chiede come mai?

La morte di 300 operai in due diversi incendi di fabbriche di abbigliamento in Pakistan ha sollevato l'attenzione sulle precarie condizioni di lavoro nei Paesi emergenti dove si produce ormai la maggior parte dei beni che consumiamo in Occidente.
La  ''Ali Enterprise'' di Karachi era una trappola per topi come lo sono migliaia di altre aziende in India, Bangladesh e Nepal.  Tonnellate di materiale sintetico in stanzoni chiusi pieni di operai. Se succede qualcosa, e' una tragedia inevitabile.
Anzi pare non fosse neppure registrata.  Certo a Karachi, dove i gangster ammazzano a destra e sinistra ogni giorno, risulta un po' difficile far rispettare le norme di prevenzione anti incendio o avanzare rivendicazioni sindacali.
Ma quello che mi ha speventato di questa sciagura e' l'indifferenza totale da parte dell'industria locale e governanti pachistani. I media  hanno strillato un po'  sul ''piu' grave disastro industriale'' nella storia del Paese. L'attenzione e' evaporata dopo un giorno appena.
Ovviamente meglio non parlare di queste ''fabbriche'' dove si producono collezioni per le grandi catene di abbigliamento sempre piu' a caccia di profitti per sopravvivere alla crisi. Io ci ho provato a capire un po', ma i clienti sono segretissimi. Non va bene dire, per esempio,  che un costoso capo di una griffe italiana  e' stato confezionato alla periferia di Karachi. Non e' molto trendy. E poi forse chi piazza gli ordini e' spesso un intermediario, quindi e' difficile risalire all'''utilizzatore finale'' per  usare un espressione che va di moda in Italia.   

Confessioni di una ''cool hunter'' a New Delhi

E' ora di squarciare il velo su una mia attivita' che ho tenuto segreta da quasi un anno un po' divertendomi e un po' vergognandomi quando gli amici mi vedevano appostata con la macchina fotografica agli angoli di popolari ritrovi giovanili di New Delhi. Lavoro come ''cool hunter''  per un website di ''street fashion'' che si chiama Styleattitude e che e' stato fondato da una simpaticissima parigina di origini italiane.
Il mio compito consiste nello scovare dei ragazzi e ragazze diciamo ''trendy'' e fotografare ogni dettaglio, dalle scarpe fino agli orecchini. Ho cercato all'inizio di spiegare che New Delhi non e' Milano e che la gente va fuori come capita senza far molta attenzione alle mode. Ma mi ero sbagliata. I giovani ''delhiti'' hanno un loro stile, soprattutto i teen ager, distinto da quello dei loro coetanei di Shangai o di Bangkok. Ovviamente vanno tutti a rifornirsi nei centri commerciali da Zara o Mango dove prevale l'uniformita', pero' poi compare il tocco locale, la kurta per le ragazze o l'immancabile gioiello di famiglia. Non ci sono gli eccessi di certa moda punk o trash, ma buon gusto un po' borghese. La gioventu' indiana non e' ribelle e lo si vede anche da come veste.     

Sonia Gandhi guarita, ma da cosa?

Per la prima volta un giornale indiano, The Hindu diretto dal bravo Siddarth Varadarajan, ha avuto il coraggio di scrivere la parola ''cancro'' in un articolo che parla di Sonia Gandhi tornata da un nuovo test medico negli Stati Uniti. (vedi qui). Sfidando la cortina fumogena che da sempre c'e' intorno alla super donna della politica indiana, il quotidiano ha dato la bella notizia che ''la sua battaglia con il cancro potrebbe essere vinta''  dopo gli ultimi test di routine andati bene.
Quando oltre un anno fa Sonia era partita improvvisamente per un intervento chirurgico in un famoso centro di oncologia di New York (particolare mai confermato) si erano scatenate le speculazioni su qualcosa di grave. Lei aveva poi chiesto il silenzio stampa, che e' stato rispettato dai media sempre molto obbedienti nei confronti della potente famiglia. Il mistero della malattia non e' mai stato svelato.  L'unica cosa certa e' che la 63 enne presidente del Congresso non si e' sottoposta a chemioterapia perche' se no avrebbe perso i capelli. Per fortuna ovviamente.
Pero' in un'era in cui i malati, anche quelli gravi, si filmano su YouTube mentre muoiono, scrivono libri o addirittura fanno pubblicita,' come il campione di cricket Juvraj Singh, guarito di recente da un turmore, che fa da testimonial a una compagnia di polizze vita.    

La Washington Post spara a zero su Singh, ma scopiazzando un vecchio articolo

Dopo il Time magazine anche l'autorevole Washington Post, o meglio ''la'' Washington Post'' come insegnano nelle vecchie scuole di giornalismo, si scaglia contro il povero premier Manmohan Singh, che - nessuno forse se lo ricorda - e'  un semplice ''tecnico'' messo li' da Sonia Gandhi ben otto anni fa.
  In un pezzo in prima l'altro ieri, il giornale lo definisce addirittura una ''figura tragica''  nella storia indiana. Vero. Il declino della popolarita' dell'economista Singh e' in picchiata negli ultimi tempi per via di una serie di scandali per corruzione. Ma guarda caso, piu' si avvicinano le elezioni nel 2014 e piu' aumentato gli assalti al mite sikh dal turbante azzurro che - a essere onesti - e' sempre stato sottomesso agli ordini della potente Sonia.
    Il corrispondente da Delhi della Washington Post, Simon Denyer, ha quindi ragione a criticare. Ma e' scioccante che lo ha fatto copiando da un articolo di un piccolo mensile indiano, Caravan, dell'ottobre 2011!!! Il giornalista e' infatti stato ''pizzicato'' dal portavoce del pm (ovviamente interessato a metterlo in cattiva luce) e la Washington Post e' stata poi costretta a correggere il tiro (vedi qui).
Morale: anche i ''grandi'' corrispondenti, che dopo un paio di mesi in India gia' pontificano davanti a un bicchiere di gin tonic, ogni tanto prendono cantonate oppure scopiazzano da vecchi ritagli. Certo dall'autorevole Washington Post ci si aspetterebbe un po' di piu'. 

India avvia relazioni diplomatiche con ....Niue

    In un comunicato oggi il ministero degli Esteri fa sapere che l'India ha avviato le relazioni diplomatiche con l'isola di Niue durante una visita del primo ministro Toke Talagi. La cosa mi ha ovviamente incuriosita anche perche' non sapevo dell'esistenza di questa nazione che non e' propriamento uno Stato perche' appartiene alla Nuova Zelanda. Ma di fatto conduce una politica estera autonoma tanto che ha allacciato relazioni diplomatiche con New Delhi.
   Che c'entra con il gigante indiano questo isolotto nel mezzo del Pacifico e pieno di coralli, detto lo ''scoglio della Polinesia'' e, di recente, salito alla ribalta come ''nazione WI-FI'' (ma il progetto non e' mai decollato)? Che hanno a vedere i suoi 1.400 abitanti di etnia polinesiana con il miliardo e 200 mila indiani?
   Da una semplice ricerca su internet e' emerso che nel 2005 una societa' mineraria australiana ha detto che la gente di Niue e' seduta sopra un giacimento di uranio che potrebbe essere uno dei piu' grandi al mondo.
   Non ho capito se e' davvero cosi' perche' dopo allora non ho piu' trovato informazioni. Spero tanto che gli isolani non accettino mai di trasformare il loro paradiso in una miniera di uranio. Intanto pero', la diplomazia indiana  - sempre molta attenta alle risorse energetiche - ha annusato l'eventuale affare. Se non sara' cosi', rimane comunque la possibilita' di andaci in vacanza. Ma non tutti insieme per carita'.  

NON SOLO INDIE/Nomadismo, vela e downshifting di Simone Perotti

    Nomadismo e vela. Questa volta sono riuscita a mettere insieme le mie due passioni. Mi sono unita a un gruppo di ''velisti per caso'' in giro per il Mediterraneo guidati da uno skipper-scrittore che ha fatto una scelta di vita molto simile alla mia con la differenza che pero' l'ha fatta in Italia. Ha raccontato la sua esperienza in un libro, ''Adesso basta'', (Chiarelettere) uscito nel 2009. Lui si chiama Simone Perotti, ex manager rampante della RCS che ha fatto conoscere in Italia il ''downshifting'', una parolona inglese per un concetto molto semplice, ovvero riappropriarsi del nostro tempo. E' la vecchissima storia: meglio avere piu' tempo e meno soldi o piu' soldi e meno tempo? Io sono per la prima soluzione e lo vado dicendo ormai da anni con il rischio a volte di emarginazione sociale. Prima di me lo hanno detto quelli che hanno fatto il 1968, non mettendolo poi in pratica.
    Perotti e' invece un baby boomer come me, di quelli che hanno sempre messo la carriera al primo posto perche' cosi' ci e' stato insegnato fin dalla culla. Carriera perche' significava affrancamento dai lavori manuali, soldi per comprare grosse auto e beni di lusso e possedere status symbol. Io ho, quindi sono. Human doing non human being. Cosi' funziona il modello consumistico della nostra societa' che ora - sembra? - entrato in crisi.
    Perotti, che ora fara' anche un programma alla Rai dedicato al cambiamento di vita, forse ha scoperto l'acqua calda e da bravo manager e' riuscita a venderla con successo. Sara'. Ma gli va il merito di aver acceso un barlume di speranza nella nostra malata societa' occidentale. Mentre molti si limitano a lamentarsi per lo stato di cose come gli ''indignados'', che vanno a protestare in piazza, ma poi continuano con lo stesso stile di vita, almeno lui e' coerente. Ha molllato tutto e vive con poco, almeno cosi' dice.

Come diceva il Mahatma, se vogliamo cambiare le cose, dobbiamo essere noi a cambiare. ''BE THE CHANGE YOU WANT TO SEE IN THE WORLD''.