Dopo Uttarkashi, il Gange si snoda per 100 chilometri in una stretta e tortuosa vallata piena di ‘’deodar’’ (cedri himalayani), rododendri, betulle, una grande varieta’ di fiori e campi di patate, che percorro con una corriera strapiena di pellegrini. E’ la valle del Bhagirathi, appunto come e’ chiamato qui il fiume piu’ sacro dell’India sgorgato dai capelli di Shiva che ha portato la dea Ganga sulla terra per espiare le colpe di 60 mila antenati del re Baghirat, secondo una intricata storia della mitologia induista. Shiva, il dio dell’Himalaya, e’ infatti spesso rappresentato con la dea Ganga sul capo.
A parte le nuove centrali idroelettriche in costruzione, osteggiate da ambientalisti e guru indiani (proprio in questi giorni un santone e’ morto dopo uno sciopero della fame di quattro mesi), il paesaggio e’ ancora sorprendentemente incontaminato. In alcune parti mi verrebbe da dire un paesaggio quasi giurassico, per la maestosita' e le foreste impenetrabili.
Piu’ ci si avvicina a Gangotri, la mia meta dove sorge il tempio dedicato alla dea Ganga, piu’ la gola diventa profonda, quasi orrida come se dovesse sgorgare dagli inferi. Alcune volte mi sembra quasi un fiume infernale, la Stige del traghettatore Caronte e mi viene in mente una conferenza tanti anni fa a Delhi di uno studioso che sosteneva che Dante Alighieri si era ispirato alle descrizioni del Gange nella stesura della Divina Commedia.
A una decina di chilometri da Gangotri, non si vede neppure piu’ il fiume talmente e’ in fondo a un vertiginoso precipizio con delle rocce enormi color crema e altre variopinte frutto di chissa’ quali miscele geologiche. Mi chiedo se qualcuno ci ha mai messo piede laggiu’ in fondo. Certo sarebbe un paradiso per gli appassionati di canionyng. La sensazione qui e’ di inquietudine, non certo di sacralita’.
La spiegazione di questa caratteristica del Bhagirati la trovo nel libro ‘’Sacred Water’’ di Stephen Alter, che percorre a piedi la vecchia strada dei pellegrini del Char Dham. Il Gange infatti sgorga a nord di una montagna che si chiama Shiv Ling (fallo di Linga) e quindi deve lottare disperatamente con le rocce per scendere a valle, scavando il proprio passaggio attraverso l’Himalaya che probabilmente si e’ formata dopo il fiume.
Dopo 6 ore di balzi da rodeo, la corriera arriva miracolosamente fino in fondo alla vallata, ma l’accesso a Gangotri e’ bloccato da un gigantesco ingorgo stradale. I mezzi in uscita e in entrata sono bloccati sulla stretta stradina. Io e mie compagni di viaggio quindi siamo quindi costretti a scendere dal bus e a percorrere l’ultimo chilometro a piedi tra i gas di scarico, ambulanti, mendicanti, vacche, muli e sherpa.
Certo, trovare traffico ai 3.300 metri alle sorgenti del Gange e’ una cosa che farebbe venire voglia di chiudersi in casa e sparare a vista sui propri simili. Ma e’ ‘’alta stagione’’ mi dicono ed e’ ‘’normale’’ che Gangotri sia intasata. Un poliziotto poi mi spieghera’ che ogni giorno circa 15 mila pellegrini vengono a pregare la dea Ganga e a bagnarsi nelle sorgenti che non sono qui, ma molto piu’ in su, a una ventina di chilometri di cammino, nel ghiacciaio di Gomukh. Per la maggior parte di loro il pellegrinaggio culmina in questo villaggio, che per sei mesi all’anno e’ abbandonato sotto una coltre di neve, mentre per gli altri sei e’ una sorta di Mecca dell’induismo, uno dei posti piu’ sacri dell’intera India .
Nessun commento:
Posta un commento