Puttaparthi, terra di prestigiatori, dalla vibhuti al portafoglio
Avrei dovuto capire subito che a Puttaparthi sono lesti di mano. I trucchi del Sai Baba con la vibhuti, la cenere che materializzava dal palmo delle mani, sarebbe un gioco di prestigio, secondo molti. Ovviamente se lo si chiede ai devoti giurano che non c'e' nessun trucco.
Non lo so. Anche nello scoperchiamento del Santo Sepolcro a Gerusalemme ci potrebbe essere qualche illusionista...
Fatto sta che il pomeriggio prima del funerale del famoso guru, ero nell'ashram e stavo scattando fotografie - pensa un po' - a un cumulo di terra ''sacra'' che sarebbe servita per la sepoltura prevista al fondo della sala, nel punto in cui si ''esibiva'' davanti ai suoi fedeli.
Voila', una mano veloce ha tolto dalla mia borsa un voluminoso portafoglio, di quelli con tutte le tasche e taschine, pieno zeppo di carte, soldi, passoporto, patente e ogni tipo di documento originale e fotocopiato. Volatilizzato e mai piu' materializzato.
Sono rimasta solo con la mia tessera stampa al collo e 200 rupie in fondo alla borsa.
Solo dopo ho capito il ghigno beffardo del Sai Baba (vedi foto) di un grande dipinto attaccato alla parete davanti al tavolo dove scrivevo le mie corrispondenze...Ben mi sta.
E' Pasqua, Sai Baba e' morto e io sono a Puttaparthi
A tempo di record, sono arrivata stasera tardi a Puttaparthi, un ex villaggio agricolo in una parte remota dell’Andhra Pradesh, diventato famoso per il Sathya Baba. Il famoso santone con i capelli alla Jimmy Hendrix ‘’non c’e’ piu’’’ come dice la gente qui con gli occhi rossi e il viso stanco, probabilmente dalle continue veglie dei giorni scorsi.
Una ragazza, con cui ho diviso il taxi dall’aeroporto di Bangalore, mi diceva un po’ invasata ‘’voglio andare da lui, sto contando ogni secondo, ma non so se avro’ ancora le lacrime per piangere. Lavora alla Tata Motors come ingegnere, il ‘’Baba’’ gli ha parlato quando aveva sei anni e da allora e’ diventata una sua seguace.
Puttaparthi e’ il tipico caso di citta’ violentata da un edilizia selvaggia, cresciuta disordinatamente intorno all’ashram Prashanti Nilayam. Un enorme complesso, costruito da poco, che ha rimpiazzato un precedente ‘’mandir’’. Per essere la sede di una fondazione che – secondo la stampa indiana – gestisce la bellezza di 40 mila crore di rupie (9 miliardi di dollari!!!!), compresi gli immobili, e’ abbastanza deludente.
Quando sono arrivata alle 11 di sera, c’era una lunga fila, di mezzo chilometro circa, che si e’ poi smaltita in fretta . Era la fila degli uomini, mentre le donne erano separate. Quando sono entrata nella enorme sala, c’erano si’ e no’ qualche centinaio di persone. Mi sembrava una cerimonia molto raccolta.
Uomini con la tunica bianca, colore del lutto, erano seduti intorno alla bara di vetro. I volontari con una coccarda dorata facevano sfilare le persone. Nessun controllo. Fuori avevano messo un paio di megaschermi montati su dei camion mentre i poliziotti bivaccavano tutto intorno con l’aria esausta. Lungo la strada stanno ora montando delle transenne per dividere la strada tra chi entra e esce dall’ashram. La citta’ e’ stata chiusa al traffico e tutto e’ chiuso per lutto.
Non so se per fortuna o perche’ forse ho chiesto una stanza senza aria condizionata, ho trovato subito una sistemazione a un prezzo che secondo me e’ quello normale. Non mi hanno nemmeno chiesto il passaporto, chi ero o da dove venivo, anche solo per curiosita’. Il dolore e’ sincero.
Seduto sugli scalini incontro un tedesco che vive qui e che mi dice di conoscere molti italiani. Mi dice anche che domani si aspetta una grande folla. Per questo, i preparative fuori e dentro l’ashram vanno avanti tutta la notte.
Mentre dentro la sala del ''darshan'', tra enormi lampadari di cristallo infestati dalle vespe, si levano i canti funebri degli uomini, alcune donne, rannicchiate su delle coperte in un angolo fuori dalla sala, mormorano a bassa voce alcune preghiere come in un una ninna nanna.
Una ragazza, con cui ho diviso il taxi dall’aeroporto di Bangalore, mi diceva un po’ invasata ‘’voglio andare da lui, sto contando ogni secondo, ma non so se avro’ ancora le lacrime per piangere. Lavora alla Tata Motors come ingegnere, il ‘’Baba’’ gli ha parlato quando aveva sei anni e da allora e’ diventata una sua seguace.
Puttaparthi e’ il tipico caso di citta’ violentata da un edilizia selvaggia, cresciuta disordinatamente intorno all’ashram Prashanti Nilayam. Un enorme complesso, costruito da poco, che ha rimpiazzato un precedente ‘’mandir’’. Per essere la sede di una fondazione che – secondo la stampa indiana – gestisce la bellezza di 40 mila crore di rupie (9 miliardi di dollari!!!!), compresi gli immobili, e’ abbastanza deludente.
Quando sono arrivata alle 11 di sera, c’era una lunga fila, di mezzo chilometro circa, che si e’ poi smaltita in fretta . Era la fila degli uomini, mentre le donne erano separate. Quando sono entrata nella enorme sala, c’erano si’ e no’ qualche centinaio di persone. Mi sembrava una cerimonia molto raccolta.
Uomini con la tunica bianca, colore del lutto, erano seduti intorno alla bara di vetro. I volontari con una coccarda dorata facevano sfilare le persone. Nessun controllo. Fuori avevano messo un paio di megaschermi montati su dei camion mentre i poliziotti bivaccavano tutto intorno con l’aria esausta. Lungo la strada stanno ora montando delle transenne per dividere la strada tra chi entra e esce dall’ashram. La citta’ e’ stata chiusa al traffico e tutto e’ chiuso per lutto.
Non so se per fortuna o perche’ forse ho chiesto una stanza senza aria condizionata, ho trovato subito una sistemazione a un prezzo che secondo me e’ quello normale. Non mi hanno nemmeno chiesto il passaporto, chi ero o da dove venivo, anche solo per curiosita’. Il dolore e’ sincero.
Seduto sugli scalini incontro un tedesco che vive qui e che mi dice di conoscere molti italiani. Mi dice anche che domani si aspetta una grande folla. Per questo, i preparative fuori e dentro l’ashram vanno avanti tutta la notte.
Mentre dentro la sala del ''darshan'', tra enormi lampadari di cristallo infestati dalle vespe, si levano i canti funebri degli uomini, alcune donne, rannicchiate su delle coperte in un angolo fuori dalla sala, mormorano a bassa voce alcune preghiere come in un una ninna nanna.
Che bello sarebbe avere i Seven Eleven in India
Sono tornata da una vacanza in Thailandia, paese che e' decisamente piu' occidentalizzato, nel bene e nel male, dell'India, ma che non e' nemmeno la Svizzera. Bangkok e' una metropoli di 5 o 6 milioni di abitanti, la meta' di New Delhi, con tutti i problemi correlati, tra cui inquinamento, caos, degrado urbano e slum, anche se non sono paragonabili a quelli di Mumbai. Lo sviluppo urbano e' simile a quello che vedo qui nei poli tecnologici di Gurgaon o Noida. Sono rimaste intatte alcune tradizioni, come quella dei mercatini in strada e dello street food. Le guesthouse per turisti budget come me sono appena piu' pulite di quelle indiane a parita' di prezzo.
Mi ha colpito pero' la presenza di una catena di supermercati, Seven Eleven, diventata addirittura un'attrazione turistica, tanto che ci sono le magliette con il logo. La catena appartiene al gruppo Charoen Pokphand Group del miliardario Dhanin Chearavanont, che fa parte dei poteri forti della monarchia thai. Sono dei piccoli supermercati di quartiere in cui si trova tutto, ma davvero tutto, dalle schede sim al disinfettante, poi pasticceria fresca e hot dog e perfino quotidiani. In ogni angolo ce ne uno, che ti rende la vita estremamente facile.
Tornata a New Delhi, sono andata a fare la spesa da Reliance Fresh, supermercati del conglomerato Reliance (anche quelli del miliardario Mukesh Ambani, il piu' ricco industriale indiano), che - in teoria - dovevano diventare i ''seven eleven'' dell'India quando sono stati aperti 4 o 5 anni fa. Non ho mai capito perche' - forse non lo sanno nemmeno loro - e' stato un fallimento. In quello dove vado, tra Green Park e Safdarjung Enclave, uno dei pochi a sud di Delhi, e' un disastro sia per la distribuzione (scaffali sempre vuoti) che per l'igiene (penso di essermi beccata la dengue li' lo scorso anno). Sara' che ero appena arriva dalla Thailandia, ma per la prima volta ho notato i sacchetti di spazzatura maleodorante sul marciapiede, felicita' dei topi, le casse con i display sfasciati, il controsoffitto a pezzi e un caos maggiore del solito nella disposizione dei pochi articoli presenti. Morale: forse meglio cosi' per i piccoli commercianti e ambulanti, pero' quanta strada deve ancora fare l'India nella grande distribuzione!!!
PS Dopo aver raccontato la storia, qualcuno mi ha fatto notare l'efficienza dei supermercati nei grandi shopping mall della periferia, tipo Big Bazar del Future Group, di Kishore Biyani (un commerciante tessuti ora a capo di un impero di grandi magazzini che ha scritto pure un libro sul suo successo) . D'accordo, ma quanti chilometri devo fare?
Mi ha colpito pero' la presenza di una catena di supermercati, Seven Eleven, diventata addirittura un'attrazione turistica, tanto che ci sono le magliette con il logo. La catena appartiene al gruppo Charoen Pokphand Group del miliardario Dhanin Chearavanont, che fa parte dei poteri forti della monarchia thai. Sono dei piccoli supermercati di quartiere in cui si trova tutto, ma davvero tutto, dalle schede sim al disinfettante, poi pasticceria fresca e hot dog e perfino quotidiani. In ogni angolo ce ne uno, che ti rende la vita estremamente facile.
Tornata a New Delhi, sono andata a fare la spesa da Reliance Fresh, supermercati del conglomerato Reliance (anche quelli del miliardario Mukesh Ambani, il piu' ricco industriale indiano), che - in teoria - dovevano diventare i ''seven eleven'' dell'India quando sono stati aperti 4 o 5 anni fa. Non ho mai capito perche' - forse non lo sanno nemmeno loro - e' stato un fallimento. In quello dove vado, tra Green Park e Safdarjung Enclave, uno dei pochi a sud di Delhi, e' un disastro sia per la distribuzione (scaffali sempre vuoti) che per l'igiene (penso di essermi beccata la dengue li' lo scorso anno). Sara' che ero appena arriva dalla Thailandia, ma per la prima volta ho notato i sacchetti di spazzatura maleodorante sul marciapiede, felicita' dei topi, le casse con i display sfasciati, il controsoffitto a pezzi e un caos maggiore del solito nella disposizione dei pochi articoli presenti. Morale: forse meglio cosi' per i piccoli commercianti e ambulanti, pero' quanta strada deve ancora fare l'India nella grande distribuzione!!!
PS Dopo aver raccontato la storia, qualcuno mi ha fatto notare l'efficienza dei supermercati nei grandi shopping mall della periferia, tipo Big Bazar del Future Group, di Kishore Biyani (un commerciante tessuti ora a capo di un impero di grandi magazzini che ha scritto pure un libro sul suo successo) . D'accordo, ma quanti chilometri devo fare?
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