Rahul, la fatica di chiamarsi Gandhi
Oggi sono andata a vedere un comizio di Rahul “baba”, come chiamano qui il figlio di Sonia Gandhi, segretario generale del Congresso ed erede designato della storica dinastia che ha dominato la storia dell’India. Mi piace questo nomignolo, “baba”, che è quello che le mamme usano affettuosamente con i figli maschi. Rahul, che ha 37 anni, scapolone d’oro, è cresciuto a Janpath 10 con una nonna, Indira, prima e poi il padre Rajiv, entrambi assassinati. La politica, ma anche il terrore, ce l’ha nel sangue. Almeno così dovrebbe essere. Invece, secondo me, Rahul fa una fatica bestiale a ricoprire il suo ruolo. E si vede anche. Oggi l’ho osservato mentre con ore di ritardo alle 17 è arrivato al suo primo comizio elettorale a Delhi, in un prato in mezzo alle bidonville a Tahilpur Village, gli immensi rioni popolari nati al di la del fiume Jamuna. La gente che vive qui è stata “spostata”, per usare un eufemismo, dal centro della capitale per far posto ai palazzi del governo. Pur essendo una roccaforte del Congresso non c’era tanta ressa. Al massimo 2 mila persone che sono state strategicamente ammassate davanti alle telecamere per dare un effetto di “folla assiepata”. Una vecchia tattica usata dai politici e dittatori di tutto il mondo. Mi aspettavo decisamente più gente. Ho saputo poi che molti erano stati pagati. “Ma certo che ricevono denaro!” ha detto una collega di CNN-IBN che stremata dall’attesa di 4 ore si è addirittura addormentata per qualche minuto durante il comizio. Rahul è arrivato su un fuoristrada coperto di fiori. Appena sceso è stato omaggiato e ossequiato da una una fila di venti politici locali, tra cui la chief minister Shila Dikshit, che governa lo stato di New Delhi da dieci anni. Con un passo deciso è andato in un tendone seguito da un nugolo di guardie del corpo in giacca nera e occhiali da sole in stile James Bond, non le solite casacche cachi che circondano i vip indiani. Poi è montato sul palco e si è levato gli occhiali da vista, forse per pulirli o forse perché c’era qualche problema. Ho visto la signora Dikshit, che con la premura di una mamma, lo ha aiutato. Il suo discorso, di una quindicina di minuti, era su un paio di pagine, ma lui è andato a braccio, facendo delle pause ad effetto. Di sicuro ha preso qualche lezione. I miei colleghi indiani hanno detto che è stato un “bel discorso”, ma che ha ripetuto quello già detto ieri a Bhopal dove ha attaccato il Bjp sull’agenda antipovertà. Anche a me non è sembrato nulla di originale, ma forse è quello che la gente ci si aspetta. E comunque raramente i miei colleghi indiani criticano i loro leader…mentre parlava Rahul aveva alle spalle una gigantografia della madre da una parte, mentre sullo sfondo campeggiava la siluette di un enorme ospedale pubblico dedicato a Rajiv Gandhi, praticamente l’unico edificio moderno della zona. Segno tangibile dello “sviluppo” promesso dal Congresso. Davanti a lui aveva delle gigantografie di Indira, del padre Rajiv, ancora della madre e poi più lontano di Manmohan Singh, il premier scelto da Sonia. Prima di andare via Rahul ha stretto un po’ di mani dietro le transenne tra le urla dei sostenitori. Nessuno dei giornalisti ha osato lanciare delle domande. Quando ho chiesto se non erano interessati a incontrarlo per una chiacchierata, mi hanno lanciato uno sguardo compassionevole, tipo ti-perdoniamo-la-cazzata-perchè-sei-straniera-e-non-capisci-nulla-dell'India. "Non lo si può incontrare - mi ha detto pazientemente il collega al mio fianco - ma puoi citare il suo discorso...".
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