Ero al famoso bar Leopold di Colaba ieri mattina e guardandomi intorno, tra la folla di turisti, mi è sembrato di vedere qualcuno dei loschi personaggi descritti in Shantaram. Mi hanno detto che ogni tanto qui ci ritorna anche l’autore Gregory David Roberts. Sono a Mumbai da un paio di giorni, ma mi sembra di esserci da un secolo. Mi sono accorta quanto New Delhi è una piccola e anonima città di provincia al confronto. Arrivare nel cuore di Mumbai su uno dei treni che ogni giorno trasportano milioni di persone verso i loro destini, mi ha ricordato i brividi di gioia di quando vedevo all’orizzonte i grattacieli e i cartelli pubblicitari di Milano arrivando con l’autostrada dalla grigia Torino.
Come le vere grandi metropoli, Mumbai non dorme mai, forse si appisola un po’ dopo la mezzanotte, ma a Church Gate trovi sempre un’edicola aperta, i tassisti sono sempre svegli e mettono il tassametro, mentre davanti al Gateway of India, che è ancora impacchettato per i restauri, il luccichio dei calessi argentati e lo scampanellio dei cavalli, ti riportano ad una atmosfera da “Vacanze Romane”. Ieri mattina vicino al monumentale Taj Hotel ho incontrato di nuovo Amjad Khan, che come tutti i Khan di Mumbai sono più o meno intrallazzati con Bollywood. Lui fa di mestiere il procacciatore di comparse. Aveva assolutamente bisogno di quattro giovani ‘bianchi’ da trasformare in soldati dell’esercito britannico in un film d’epoca. Stava convincendo quattro ragazzi, un po’ perplessi, soprattutto all’idea di svegliarsi alle sette, ma che poi si sono convinti di fronte all’ipotesi di guadagnare 500 rupie, meno di 10 euro, a testa.
Poi sono andata a Dalal Street, la Wall Street dell'India, sede della borsa che da un po’ di mesi è crollata come le altre borse asiatiche. All’ingresso, sorvegliatissimo, hanno piazzato una scultura di un grosso toro dallo sguardo torvo e minaccioso. I superstiziosi dicono che da quando è arrivato le cose sono iniziate ad andare male. Ho visto qualche operatore che uscendo toccava la statua e poi si portava una mano alla fronte come fosse un ‘Nandi’ di Shiva. Questo è in realtà il tempio della nuova speranza indiana. Sono rimasta a guardare il via vai di professionisti in giacca e cravatta e i pensionati con il naso in su a controllare le azioni che scorrono su un insegna luminosa tipo Time Square. Ma mi ha impressionato di più il venditore di succo di canna da zucchero, con la sua pressa a motore dove tritava grossi fasci di canne depositate sul marciapiede, completamente ignaro del fiume di soldi che scorreva a pochi metri da lui.
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