Spedizione Himalaya 2008, diciannovesimo giorno, Palampur-Pathankot
Oggi sono di nuovo entrata nel limbo della Lonely Planet, il mondo non menzionato dalle guide turistiche dove i ristoranti non hanno le forchette e coltelli. Sotto il solito diluvio monsonico sono scesa per la Kangra Valley, di cui non ho visto nulla talmente ero concentrata a non scivolare sull’asfalto bagnato. Sono ridiscesa in pianura fino ad entrare con una certa sorpresa in Punjab. Praticamente non sono più in Himalaya, ma in un paesone terrificante che confina con lo stato di Jammu e Kashmir, “’JK”’ come lo chiamano. Pathankot è il solito ammasso di casupole e negozi lungo un paio di strade tutte buche e intasate di auto, carretti, moto, bici, vacche, cani e passanti disperati che cercano di attraversare la strada o schivare le pozzanghere o voragini di perenni lavori in corso. Andando alla cieca sono riuscita a trovare una guest-house decente dove volevano che prendessi una stanza con l’aria condizionata (con tutta la pioggia gelida che ho preso oggi, mi serve piuttosto una stufa!). Poi, sempre per caso, sono finita a cenare alla Khalsa Hindi Dhaba, dove ho mangiato del pollo tanduri eccellente, anzi uno dei più buoni degli ultimi tempi.
La giornata oggi era iniziata dal meccanico a Palampur. Di nuovo lo scooter non teneva il minimo, ma questa volta era un altro problema che davvero non ho capito, ma che Bindu, il meccanico raccomandatomi da un tizio fuori il concessionario della Honda, ha risolto dopo un’ora di tentativi. Non è stato facile trovare il suo garage che reca l’assurda scritta ‘’Bindu, Flower Decoration”. Gli ho chiesto perché e si è messo a ridere come se gli avessi domandato chissà che cosa.
Un altro incontro curioso è stato quattro ore dopo quando finalmente è uscito il sole e ho fatto una tappa-merenda a Kotla, un bel villaggio ricco di storia. C`era un palazzo del maharaja locale che era quello che governava anche il Punjab. Uno studioso di filosofia e attivista dello Shiv Sena, che sono i fascisti indù, mi ha accompagnato a vedere le rovine che sorgono su una collinetta a cui si arriva guadando un torrente e salendo su per una scivolosissima mulattiera. Rudra Ravan, che ha fondato anche una NGO che si occupa di malati Aids, mi ha detto che lui va li a meditare. Mi ha anche mostrato un tempietto, Bagla Murkhi Temple, che è di una divinità tantrica, che non ho mai capito in realtà cosa sia al di la dello stereotipo occidentale di orge sessuali. Mi ha detto che ci viene con amici e sadhus a “meditare”, che accendono un fuoco e “cucinano”. Mi è venuto il sospetto che forse appartiene ad una setta di estremisti neri. Poi abbiamo parlato della perdita di valori in Occidente e anche in India. Mi sembrava molto colpito dal fatto che noi in Italia non abbiamo posti per “meditare”. “Abbiamo le chiese ma servono per pregare” gli ho spiegato, ma non sembrava molto convinto. Mi ha consigliato un nuovo centro di Osho a Dharamsala e poi si è offerto di spiegarmi la filosofia del Vedanta. A quel punto i miei jeans si erano asciugati, l’ho ringraziato della compagnia e mi sono rimessa in sella.
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