Spedizione Himalaya 2008, giorno venticinque, trekking Baltal- Grotta di Armanath (28 km)
“ Da quando è iniziato il pellegrinaggio abbiamo a avuto solo 22 morti per collasso cardiaco e 25 per cadute o frane” è stata la risposta dell’ex colonnello K.N. Rani, che dirige il campo, quando gli ho chiesto ieri sera se c’erano stati incidenti. Mi sono svegliata alle sei con queste parole in testa e con la voglia di rimanere nel caldo del sacco a pelo invece di arrampicarmi su per la montagna per vedere il “miracolo” della stalattite di ghiaccio a forma di fallo, ormai completamente sciolta da una decina di giorni. Ormai però ci sono dentro questa storia di Armanath che mi frullava in testa da mesi. Quindi sono partita con un po’ di timore, ma anche con la certezza che non doveva essere un trekking difficile visto che lo fanno decine di migliaia di persone al giorno. Di fatti si è rilavato tale, per la maggior parte è uno sentiero sterrato in salita e largo un paio di metri. L’unico vero pericolo sono i ponies (sono “cavalli” non muli mi hanno detto) che ingombrano tutto il cammino e ti schizzano di fango e di urina. La maggior parte dei pellegrini usano gli animali per andare su, ma molti vanno a piedi, alcuni perfino scalzi in segno di rispetto ripetendo ossessivamente litanie sacre, tipo “Jai bole”, “Bom bom bole””, “Shankar bole” che sono alcuni degli appellativi del potente dio Shiva. Anch’io dopo un po’ ho cominciato a rispondere così ad ogni pellegrino che incrociavo. Quando la via della processione proveniente da Baltal si unisce con quella più lunga (tre giorni di cammino) che arriva da Pahalgam, a sud di Srinagar, l’intera vallata risuona di un solo grido. E` un delirio collettivo, ma divertente. La fatica fisica c. è stata, eccome, sono 14 km ad andare e 14 a tornare. In un alcuni momenti pioveva. Purtroppo il cielo non è stato mai limpido, ma per fortuna non ci sono state nevicate come mi avevano detto degli “yatris”, i pellegrini, incontrati in Punjab.
Nei primi giorni di apertura del pellegrinaggio, quando salivano 20 o 30 mila persone insieme, doveva essere incredibile. Posso capire gli incidenti mortali, negli ultimi 3 km il sentiero è molto stretto e scosceso. Immagino le folle di invasati e i portatori che salgono con ogni tipo di masserizia e che raramente cedono il passo. La parete della montagna è franosa e scende giu a picco per centinaia di metri fino al torrente, che corre lungo la vallata e che in alcune parti è ricoperto dai ghiacciai. Si è a oltre 3 mila metri e a volte si stente la mancanza di ossigeno. Quando salivo ho visto un uomo portato in barella che aveva difficoltà di respirazione, cosa che mi ha messo ancora più ansia. Però alla fine la mia preoccupazione si è rivelata del tutto infondata e comunque anche avessi avuto dei problemi, c’erano decine di portatori con una sedia legata a due bastoni di bambù che mi avrebbero volentieri offerto i loro servigi fino alla grotta. Me lo hanno chiesto decine di volte e io seccata rispondevo se mi vedevano cosi vecchia…In India non è assolutamente chiaro il concetto di camminare o di andare in bicicletta per puro piacere o come attività fisica.
Un'altra costante delle otto e passa ore di camminata è stato il rumore costante dei tre elicotteri che incessantemente hanno fatto la spola dal campo di Baltal all’eliporto costruito proprio sotto il santuario. Come ha riconosciuto anche il colonnello Rana, quando davanti ad una cena luculliana in mio onore gli ho raccontato la mia esperienza, non è proprio l’ideale per la santità del luogo. Ma è un buon business, gli elicotteri hanno trasportato finora 20 mila persone, più che altro facoltosi di Delhi o del Punjub che volevano dare un tocco di brivido all’esperienza mistica. Che per me è stata abbastanza traumatica per un semplice e banale motivo. Prima di entrare nel tempio della grotta, dove dietro una grata “c’era” la grande stalattite, bisogna ovviamente levarsi le scarpe. I miei piedi sulle pietre gelide non hanno resistito che per il tempo di una foto, di nascosto, e per ricevere la benedizione del bramino, un segno rosso sulla fronte e una manciata di riso soffiato.
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