Spedizione Himalaya 2008, giorno ventisette, Kargil-Mulbek-Lamaruyu
Da oggi sono veramente in Ladakh, quello dei paesaggi lunari, delle rocce color melanzana e dei monasteri buddisti. Ho lasciato Kargil senza rimpianto dopo una notte insonne a causa di un rumoroso generatore sotto la mia finestra. Ci sono posti che a fior di pelle sento ostili e Kargil è uno di questi. Vista la mancanza di autobus, di domenica il servizio è limitato, ho deciso di riprendere la vecchia abitudine dell’autostop che qui in Ladakh funziona quasi sempre visto che c’è un'unica strada per Leh e da questa dipende la sopravvivenza di migliaia di abitanti e soldati. Mi ha caricato un camion che trasportava vasetti di marmellata da Jammu a Leh. C’era solo l’autista e il co pilota. Mi hanno sistemato in mezzo. La cabina è grande e confortevole, piena di ogni tipo di ammennicoli, da fiori di plastica a elaborati festoni in pizzo che ricoprono cruscotto e parabrezza riducendo la visuale a poche decine di centimetri. Ci sono decine di cose che ballano davanti. Mi veniva da ridere perché quando guidavo mi dava fastidio qualsiasi cosa sul cruscotto. A passo d’uomo e con il motore sotto massimo sforzo tanto che dove appoggiavo i piedi era bollente, dopo un paio di ore sono arrivata a Mulbek dove sono scesa perché mi interessava vedere una statua di Buddha scolpita nella roccia e un paio di gompa che però erano chiuse. Mulbek è in una verde vallata circondate da aride montagne, ma non è ancora il tipico paesaggio del Ladakh, che io stessa non ricordavo più. Dopo la sosta, sono passate un paio di ore prima di trovare un altro camion, questa volta vuoto e diretto a Leh. In mezzo alla strada, con la pioggia - che ormai mi perseguita anche qui - stavo per dare forfait e fermarmi a dormire quando ho trovato questo miracoloso passaggio. E’ qui che ho avuto la sorpresa di trovarmi davanti una distesa infinita di montagne di sabbia. La strada si arrotola e si srotola per oltre cento chilometri praticamente nel nulla. Ci sono due passi da superare, il Namika-L e il Fotu-La - che non posso pronunciare senza mettermi a ridere.
In alcuni tratti c’è una sottile striscia di asfalto, in altri è sabbia e pietrisco. L’autista è un giovane di Jammu, secondo me alle prime armi, perché guida con molta cautela e alla fine di ogni salita ordina al suo compagno di scendere e controllare i pneumatici. Quando siamo in prossimità della cima del Fotu-La si mette da parte sul sedile e lascia il volante al suo amico. “Vuole imparare a fare il camionista” mi fa capire come può in inglese. Per mezzora il camion va a zig e zag tra un tornante e l’altro mentre volano scappellotti e bruschi rimproveri ad ogni errore. Arrivati in cima, dopo l’ennesima controllata alle ruote, l’autista per fortuna riprende il controllo del mezzo che ora va spedito. Arrivo a Lamaruyu al tramonto, il cielo dietro la gompa è rosso fuoco, mentre stanno sorgendo le stelle nell’anfiteatro di montagne viola.
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